La cena era quasi terminata, fra poco sarebbero rientrati in cella per la notte. Tutto sembrava andare come al solito. Eppure a un tratto Peter Bordon fu assalito da un attacco di panico. Si stava portando la forchetta alla bocca, nella grande sala c'era l'abituale frastuono e i detenuti si preparavano a tornare in cella, ma di colpo qualcosa cambiò. Però solo dentro di lui. Alla sua sinistra, Carson e Byers litigavano per le sigarette. Alla sua destra, Sanders faceva lo spaccone sul magnifico canestro che gli era riuscito durante l'ora di ginnastica. Niente di eclatante, niente che giustificasse quel terrore improvviso.

Posò la forchetta. Aveva tutti i muscoli in tensione, le mani contratte, i piedi pronti a scattare. Temeva di non riuscire a respirare, che il cuore di colpo cessasse di battere. Mai, in tutta la sua vita, aveva provato un terrore tanto irrazionale.

Forse era da tempo che gli covava dentro. Non era uomo da conoscere la paura. Per anni aveva creduto di essere invincibile, aveva confidato nel suo carisma, nella sua abilità di manipolare la mente delle persone. Non aveva paura. La incuteva.

Ma forse, come tutto il resto, era stata solo un'illusione.

Adesso, a pochi giorni dalla libertà condizionata, quando stava per tornare a essere libero, aveva scoperto non solo la paura, ma il terrore allo stato puro. Di colpo la libertà tanto attesa e agognata era diventata una prospettiva agghiacciante.

Cominciò a sudare.

Accanto a lui, Sanders smise di parlare della pallacanestro e del fatto che la prigione, se non altro, gli aveva fatto scomparire la pancia che aveva a vent'anni. Fissava Peter.

«Signor Bordon, si sente bene?»

«Sì, grazie, mi è andato qualcosa di traverso» riuscì a borbottare.

Si guardò di nuovo attorno. Tutti gli altri carcerati sembravano killer minacciosi. Il sorriso di Sanders pareva quello di un matto. Il ghigno di Carson era quello di un licantropo sul punto di divorare la sua vittima.

Peter cercò di ritrovare la calma. La polizia non aveva scoperto nulla. Non avevano prove. Non aveva lasciato tracce. Era stato sempre molto attento.

Ma non era la prospettiva che la polizia arrivasse a scoprire la verità che aveva scatenato il terrore che lo paralizzava.

Dopo tanto tempo.

Dopo tanti anni.

 

Ashley si dibatté in acqua nel tentativo di mettere una certa distanza fra sé e l'aggressore. Le bruciavano i polmoni. Era stata presa alla sprovvista. Doveva riuscire a respirare.

A fatica si spinse sotto la barca e riemerse dal lato opposto. Un secondo dopo emise un gemito e finalmente riempì d'aria i polmoni, ma in quell'attimo braccia forti come tenaglie le afferrarono le gambe e la tirarono verso il basso. Si contorse e lottò con tutta se stessa, ma finì sott'acqua. Al buio.

Poi, all'improvviso, fu libera. Risalì in superficie e si trovò di fronte una testa che galleggiava.

«Ashley?»

«Jake?»

«Maledizione, Ashley.»

«Perché te la prendi con me? Sei tu che mi hai aggredito.»

«Perché ti aggiravi attorno alla mia barca, al buio?»

«Non mi aggiravo affatto.»

«A me sembrava proprio di sì.»

Avrebbe voluto prenderlo a calci, ma era troppo lontano. E comunque in acqua non gli avrebbe fatto poi molto male. Jake stava già nuotando verso la scaletta a poppa. Lo seguì. Le tese la mano per aiutarla a salire, ma lei la ignorò. Era troppo offesa. Salì da sola. Quando fu a bordo, gocciolante e infreddolita, si preparò ad affrontarlo.

«Qualcuno mi ha spinta fuori dalla barca.»

Jake scosse la testa. «Non c'è nessuno qui. Solo tu. Ed eri già in acqua quando sono arrivato. Ho pensato che fossi la stessa persona che si era introdotta sulla Gwendolyn.»

Erano entrambi completamente fradici. Jake le tolse un'alga che si era impigliata fra i capelli.

«Ero venuta per chiederti se avevi scoperto qualcosa. Ho incontrato il tuo amico, quello delle impronte digitali.»

«Skip.»

«Sì. Come una scema, mi sono messa in testa di pulire la barca. Poi mi è sembrato di sentire un rumore e sono uscita. Mi sono guardata un po' in giro e qualcuno mi ha spinta.»

«Ashley, guardati intorno. I pontili sono deserti. Non c'è nessuno.»

Incrociò le braccia sul petto. «Giusto. Secondo la tua logica quindi dovrei dedurne che sei stato tu a spingermi.»

«Sai bene che non sono stato io.»

«Sì, lo so. Però so anche che sei convinto che qualcuno sia stato a bordo. Al punto da chiedere il rilievo delle impronte. Allora perché non vuoi credere che ci fosse qualcuno nascosto, che mi ha spinta e poi è sparito?»

Per tutta risposta, Jake si voltò e fissò a lungo il mare.

«Merda» borbottò.

Poi saltò sul pontile e iniziò a correre, senza smettere di guardare l'oceano. Ashley rimase lì, in piedi, a tremare per il freddo e per l'imbarazzo.

Lo vide arrivare alla fine del pontile, tuffarsi e tornare verso di lei a nuoto.

«Che cosa fai?» chiese quando fu abbastanza vicino.

Jake salì a bordo.

«Se c'era qualcuno, di certo non è passato dal molo, quindi dev'essere andato via a nuoto.»

«Allora mi credi? Credi che qualcuno mi abbia spinta?»

«A meno che non volessi farti una nuotata al chiaro di luna.»

«Secondo te cosa cercavano?»

«Non lo so» mormorò. «Qualcosa che ho, ma che non so di avere. O qualcosa che secondo loro ho e che invece non ho.»

«Trovato niente?»

Fece cenno di no. «Avrei dovuto vedere delle impronte bagnate sul pontile, invece non ce ne sono. Chiunque fosse, può essere rimasto a lungo sott'acqua e poi essere risalito da qualche altra parte. Senza contare che ci sono centinaia di imbarcazioni qui in giro.» Si diresse all'entrata della barca, poi si voltò verso di lei e la guardò. «Hai intenzione di restare lì a gocciolare per tutta la notte?»

Ashley stava per dirgli senza mezzi termini dove poteva andare, quando lui aggiunse: «Puoi fare la doccia per prima».

Perplessa, strinse i denti e fece un passo verso di lui. Mentre apriva la porta, Jake la guardò con dolcezza.

«Scusa. Pensavo di avere fra le mani un criminale, invece eri tu.»

«Sì, posso immaginare la delusione.»

«Questo io non l'ho detto» replicò lui con un sorriso.

Ashley abbassò la testa ed entrò. Jake la seguì e andò subito a togliersi la giacca bagnata e le scarpe, ormai rovinate.

«La doccia migliore è quella nella mia cabina» annunciò.

«In realtà, forse è meglio se torno a casa. Non ho vestiti asciutti qui.»

«Vedremo di asciugarli, in qualche modo.»

«Molto invitante.»

Jake si sbottonò la camicia e la lasciò cadere, poi le si avvicinò. «Conosco qualcosa che è ancora più invitante.»

«Non ti sembra di essere un po' presuntuoso?»

«Non parlavo di me.»

Le andò vicino, la attirò a sé e le sfilò la maglietta bagnata dalla testa.

«Trovi che la mia maglietta fradicia sia invitante?» chiese Ashley.

«Puoi scommetterci.»

Poi le appoggiò le labbra sulla gola e lei si sentì sommergere da un'ondata di calore.

«Non che i pantaloni bagnati non lo siano» disse piano Ashley. «Per non parlare delle alghe sui tuoi calzini e del profumo dell'olio del motore.»

Jake non le rispose. Iniziò a slacciarle i pantaloni bagnati.

Ashley lo abbracciò. «Detective, tu mi nascondi qualcosa» mormorò, con il respiro leggermente affannato.

«Non di proposito.»

«Jake.»

La abbracciò e le fece scorrere le mani sulla schiena, fino alla chiusura del reggiseno. Lo slacciò e subito dopo lo lasciò cadere a terra.

«Jake...»

Si scostò da lei. «Ho capito. Allora proverò a sedurti con le parole. Carnegie ha predisposto un servizio di protezione della polizia ventiquattr'ore su ventiquattro per il tuo amico.»

Il cuore le balzò in petto. «Davvero?»

«Sì.»

«Glielo hai chiesto tu?»

«Se rispondo di sì, ti fermi qui?»

«Mi fermo comunque, qualsiasi cosa tu dica» rispose con voce roca.

Jake rimase in silenzio per qualche istante, ma senza allontanarsi da lei.

«Domattina devo svegliarmi presto. Vorrei partire alle quattro. Ho ricevuto una telefonata da un tipo che è in carcere con Bordon. Penso che Bordon abbia paura di qualcosa, mi vuole parlare. O forse vuole solo prendersi gioco di me. Comunque sia, devo andare. Ma sarò di ritorno domani sera. E mi occuperò seriamente del caso del tuo amico. Carnegie ha delle nuove informazioni che voglio approfondire.»

«Non sei obbligato a farlo, lo sai vero? Non devi occuparti di un caso che non è tuo solo per farmi un piacere. Solo perché Stuart è un mio amico.» Si sarebbe presa a schiaffi. Aveva bisogno di tutto l'aiuto possibile. «Io non mi darò mai per vinta. Perché conosco bene Stuart. Ma non ti chiedo di pensarla come me.»

«Non metterti in testa di indagare da sola su questo caso» l'ammonì Jake in tono deciso.

Ashley si innervosì. «Non sono una stupida. Ero fra i migliori all'accademia.»

«Nessuno mette in dubbio la tua intelligenza. Ma è pericoloso buttarsi a capofitto in qualcosa senza sapere bene a cosa si va incontro.»

«Parli così perché sono una donna.»

«No, è così per tutti. Per chiunque non abbia esperienza e addestramento.» La guardò. «Ashley, ti prego, non fare niente, stanne fuori. Non hai idea dei rischi che correresti. Quanto a Stuart, non sto indagando solo per farti un piacere, ma perché può trattarsi di un caso di tentato omicidio. Domani spero di ottenere qualche risposta sulle donne uccise cinque anni fa. E su Cassie Sewell.»

«E sulla tua compagna?» aggiunse lei a bassa voce.

Annuì. «E su Nancy.»

Rimasero lì, in piedi, bagnati. Vicini. Si guardarono negli occhi.

«È molto importante per te scoprire la verità?» gli chiese Ashley.

«Sì, ne ho bisogno.»

Ashley continuò a guardarlo, in silenzio.

Jake non la toccava, ma era così vicino che ne sentiva il calore. Si chinò in avanti e la spinse contro la parete. Quando parlò, la sua voce era emozionata, ogni traccia di sfida era svanita.

«Voglio le risposte, e le voglio perché se c'è qualcuno che merita la verità quella è Nancy.»

Ashley chinò il capo. All'improvviso era spaventata. Si era abbandonata al desiderio e ai sensi convinta di poterne uscire senza soffrire. Non ascoltava neppure più quello che le diceva. Riusciva solo a pensare che non sapeva nulla di quell'uomo, eppure lo conosceva così bene. Sapeva che quella tra loro non era solo attrazione fisica, che lui prendeva seriamente il proprio lavoro, che non avrebbe perso tempo soltanto per farle un piacere o per ottenere favori sessuali.

Ma sapeva anche che c'era qualcosa che Jake non riusciva a fare. Non era capace di lasciarsi andare, forse perché era ostaggio del passato, un passato da cui non riusciva a liberarsi.

Si chiese se nelle sue parole non ci fosse il desiderio di lasciarsi andare con lei. Non voleva scoprirlo. Non adesso. Era troppo turbata, troppo spaventata dalla passione, dal desiderio di essere con lui. Non solo a letto con lui, ma con lui, sempre.

«Ashley?»

Con un gesto dolce le sollevò il mento, poi portò la mano dietro al collo e la baciò sulle labbra.

Si staccò un poco e le bisbigliò sulle labbra: «Sei stupenda in divisa, stupenda con i jeans e stupenda anche coperta di alghe, ma sono pronto a scommettere che tutta insaponata sei uno schianto».

Ashley schiuse le labbra e sorrise. «Immagino che la doccia sia piuttosto piccola.»

«Non è necessariamente un male.»

«E troppo stretta per potersi muovere.»

«Anche questo non mi sembra un male.»

«E scomoda.»

«Non lo puoi dire prima di avere indagato di persona.»

Ashley si sciolse dal suo abbraccio e si sfilò i jeans. Poi si tolse anche la biancheria.

«Pronta per le indagini.»

Entrarono nella doccia insieme. Vicini. Quasi a contatto. Quando Ashley provò a insaponarsi, scoprì che non aveva spazio sufficiente per muoversi. Jake fu pronto a risolvere il problema. Le prese la saponetta dalle mani. Cominciò dalla gola.

«Noi investigatori non tralasciamo mai nessun dettaglio.»

«L'indagine ne potrebbe essere compromessa.»

«A me piace fare le cose fino in fondo.»

Il sapone scese sul seno, poi sui capezzoli. Il corpo di Ashley reagì con fremiti involontari. L'acqua continuava a scorrere, scivolava sulla schiuma, sulla sua pelle. Presto furono avvolti da una nuvola di vapore. Le mani morbide e sicure di Jake accarezzarono ogni centimetro del suo corpo. Sotto il seno, sul ventre piatto, sui fianchi. Poi più lentamente fra le gambe, lungo le cosce. Le mancò il fiato. Ogni contatto, ogni carezza la eccitava. Il sapone scivolò a terra. Lo lasciarono lì e si abbracciarono, si baciarono affannati per il desiderio, mentre l'acqua si portava via il sapone dai loro corpi, il vapore saliva e li avvolgeva.

Ashley lo strinse a sé con tutte le sue forze, gli accarezzò la schiena, seguì il contorno dei glutei, poi si spinse tra le sue gambe. Lui emise un gemito roco e con un calcio aprì la porta. La prese in braccio.

Un attimo dopo si lasciarono cadere sul letto. Quando fu sopra di lei la guardò a lungo negli occhi. Riprese ad accarezzarla ed entrò in lei. Ashley lo attirò a sé e per un momento fu cosciente di avere la pelle bagnata, di essere sdraiata sul lenzuolo freddo, del leggero ondeggiare della barca legata all'ormeggio. Chiuse gli occhi e si godette il calore del corpo di Jake, la forza delle sue braccia, la potenza dei suoi fianchi, e a quel punto non provò altro che il tumulto dei sensi, l'incendio che divampava, il desiderio che cresceva, sempre più esigente.

Quando arrivò al culmine del piacere, Ashley sentì che un vuoto ben più profondo dell'urgenza del sesso era stato riempito. Jake la tenne abbracciata e lei gli si aggrappò, come fosse incapace di staccarsi. Le sensazioni che provava con lui erano così acute, violente e intense da spaventarla. Sentiva di appartenergli, di essere parte di lui, in modo assoluto, profondo, come se lo conoscesse da sempre. Come se al mondo non esistesse altro posto per lei se non accanto a lui. Per sempre. Ne ebbe paura.

«Ashley, non fare niente fino a quando non sono tornato, ti prego.»

Lei trasalì e trattenne il fiato. Un attimo dopo, Jake rotolò su un fianco e si appoggiò su un gomito.

Ashley gli accarezzò una guancia. «Non importa quello che dici. Tu sei un maschilista. Hai paura per me solo perché Nancy è morta.»

«Questo non ha niente a che vedere con la morte di Nancy» tenne a precisare lui con fare nervoso.

«Jake, non mi sono iscritta all'accademia solo perché non potevo permettermi di studiare arte in una scuola prestigiosa. Volevo davvero diventare un poliziotto.»

«Come tuo padre.»

«Non solo per lui. Credo nella legge e nell'ordine. Servire e proteggere è quello che voglio fare. Lo so, non sono ancora un poliziotto, ma lavoro comunque per la polizia. Sappiamo tutti e due che è un lavoro duro e che dovrò affrontare incarichi difficili. Ma sono abbastanza forte e determinata per farlo.»

«Hai anche abbastanza buonsenso?»

«Così mi offendi.»

«Offenditi pure, l'importante è che tu capisca che quello che ti ho chiesto è davvero importante. Sei come un cane che non vuole mollare la presa. Te ne freghi delle conseguenze.»

«Non è vero, non puoi dire una cosa simile.»

«Emetti i tuoi giudizi basandoti solo sulle sensazioni, non su prove certe, che si possano vedere e toccare.»

«Tu usi sempre l'intuito. Ed è proprio questo che ti rende bravo nel tuo lavoro.»

«Ma per me è diverso.»

«Perché?»

«Perché ho imparato dal poliziotto più in gamba del mondo. Perché sono arrivato dove sono ora a partire dalla gavetta. Tu disegni, Ashley, è quello il tuo lavoro. Se ti perdi in ricerche senza senso, finirai solo per farti ammazzare.»

«Smettila, Jake. Perché mi parli così?»

«Sei una ragazzina, una ragazzina con un talento incredibile, ma giovane e inesperta. E ti parlo così perché...» Si interruppe di colpo, scosse la testa, arrabbiato. «Sei così ingenua che non capisci neanche di cosa parlo.»

Ashley si allontanò da lui e fece per alzarsi dal letto, ancora combattuta tra ciò che aveva provato solo pochi minuti prima e il bisogno di essere se stessa.

Jake le prese la mano.

«Vedi, hai già perso le staffe.»

«Sei tu quello che sta urlando.»

«Non sto urlando. Ti sto solo parlando. E non te ne andrai di qui finché non mi avrai ascoltato.»

Sentì montare la rabbia. «In questo preciso momento avrei voglia di darti un calcio nelle palle così forte da farti urlare per i prossimi mille anni.»

La minaccia non sortì alcun effetto. Un attimo dopo era sopra di lei. Non avrebbe potuto muovere un ginocchio neppure se ne fosse andato della sua vita. Uno a zero per lui.

«Allora?» le disse in tono più dolce.

«Spostati subito, Dilessio. Devo andare. Ho delle cose da fare.»

«Avevi deciso di fermarti.»

«Forse prima, adesso mi è passata la voglia. Non posso restare, se quello che pensi di me è che mi devi assecondare e manipolare. E che devo prometterti di restare sotto una campana di vetro solo perché un tempo sei stato innamorato di una poliziotta.» Alzò una mano per impedirgli di interromperla. «Che tu sia stato con lei o no, resta il fatto che l'amavi. Forse hai passato gli ultimi cinque anni a cercare di dimenticare il suo caso mentre andavi avanti con il tuo lavoro, ma in realtà non ne sei mai uscito davvero. È comprensibile. Però non puoi decidere del tuo futuro solo sulla base di quello che ti è successo in passato.»

Si alzò e la lasciò sul letto. «Metto i tuoi vestiti ad asciugare. Puoi restare, fare la doccia o andartene, come vuoi. Vai a sbrigare i tuoi impegni tanto urgenti nel cuore della notte. Io devo andarmene da qui.»

Ashley sapeva che non doveva partire così presto, aveva detto che si sarebbe messo in viaggio alle quattro. Era nervosa e arrabbiata. Aveva voglia di litigare, di ricordargli che se voleva poteva lasciarlo in pace anche da subito. Ma lui era già nella doccia. E aveva chiuso la porta. Non sarebbe restata lì a urlare e a discutere con lui sopra il rumore dello scroscio dell'acqua.

L'unica cosa che avrebbe voluto fare era entrare e infilarsi sotto la doccia con lui, come era successo solo poco prima. Anche se adesso le sembrava che fossero passati secoli.

Era tutto sbagliato. Lei non era la donna per lui, non la voleva, non aveva bisogno di lei, non poteva dirle parole che in futuro si sarebbero rivelate solo bugie.

Infilò a fatica i vestiti bagnati. Sentì che l'acqua scorreva ancora. Se gli avesse scritto due righe, sarebbe stato un modo elegante per chiudere. Se l'avesse aspettato per parlargli...

Si precipitò al blocco vicino al telefono e girò le pagine con i suoi schizzi. Cominciò a scrivere.

Caro Jake...

Non riusciva a concentrarsi. La doccia non sarebbe durata in eterno.

Non può funzionare.

Non le venivano in mente le parole giuste. Erano tante le cose che avrebbe voluto dirgli.

Non posso starmene da parte a guardare quando qualcosa mi coinvolge.

No.

Capisco come ti senti. Forse non del tutto, ma so abbastanza del tuo passato. Mi dispiace per quanto è successo a Nancy, ma sono sicura che qualsiasi cosa stesse facendo per lei era importante, era qualcosa che doveva assolutamente fare. Io però non posso essere un fiore di serra. Non puoi trascorrere la vita a cercare di proteggermi solo perché tieni a me.

Troppo presuntuoso?

Forse stava dando troppa importanza a quella che per lui era solo una storia di sesso. No. Jake teneva davvero a lei. Lo sapeva. Doveva trovare il coraggio e scrivergli la verità?

Mi sto innamorando di te, al punto da rinunciare al mio futuro, alla fiducia che ho in me stessa...

No, non era il caso. Decise per un: Non posso vederti più.

Erano così tante le cose che avrebbe voluto dirgli. Troppe. Ma al momento aveva preoccupazioni più gravi. Karen. Doveva scoprire cosa le era successo. Aveva paura, ma doveva cavarsela da sola, non commettere errori.

Aveva scritto a Jake quello che andava scritto.

Il rumore dell'acqua cessò. Non firmò il foglio, lo lasciò lì e uscì dalla barca prima che lui potesse fermarla.

 

20

 

Era iniziato tutto con una battaglia di cibo. All'inizio Peter Bordon non se n'era neppure accorto, dato che era cominciata a un tavolo piuttosto distante.

In quella sezione della prigione era raro che si verificassero episodi di violenza. Quasi tutti i detenuti erano lì per reati minori, impiegati condannati per truffa o cose simili. Quasi tutti avevano una famiglia e volevano solo uscire da lì nel più breve tempo possibile.

Cominciò con un lancio di uova, ma in pochi secondi si trasformò in una rissa. Bordon non aveva intenzione di lasciarsi coinvolgere. Che lo sporcassero pure, non gli importava.

Poi però qualcuno lo afferrò per il colletto e lo trascinò sul tavolo. Subito dopo si ritrovò a terra, con una decina di uomini addosso. Riuscì a sentire i fischi e le urla delle guardie che intervenivano per sedare la sommossa, ma una gomitata al volto gli sbatté la testa a terra. Lo tempestarono di pugni. Stava per soffocare. Urlò, si dimenò e cercò con la forza della rabbia di rispondere ai pugni, di liberarsi dal peso di quegli uomini.

Non si accorse subito della lama che affondava.

Poi, sotto quell'ammasso di corpi, capì.

La rissa con il cibo era stata una finzione, una messinscena. Qualcuno sapeva della telefonata. Il traditore poteva essere chiunque. I soldi in ballo erano molti. Comunque, non importava chi fosse stato. Si trova sempre qualcuno da comprare, qualcuno che non fa troppe domande.

Sentì la lama girare nel suo corpo. Urlò, ma ormai non aveva più voce, né fiato. Quando alla fine le guardie riuscirono a liberarlo dai detenuti, aveva perso conoscenza.

Era accaduto tutto in una manciata di secondi.

 

«Ashley, il caffè è pronto. Ma non sei in ritardo?» chiese Nick quando la vide entrare.

«Inizio alle otto adesso.»

«Bene, meglio. Che brutta faccia hai. Cioè, per essere così giovane e bella, hai proprio un aspetto orribile.»

«Grazie, molto gentile.»

«Ascolta Ashley, non voglio immischiarmi o dirti quello che devi fare, ma se fossi in te ci andrei un po' più piano con Dilessio.»

«Sì, forse hai ragione.»

Averlo mollato in tronco era abbastanza piano? Si era già pentita del biglietto che gli aveva lasciato. Aveva sperato che lui venisse a bussare alla porta per parlarle. Una speranza debole e ingiustificata. E che infatti non si era avverata. Ormai doveva essere in viaggio. Forse presto sarebbe riuscito a risolvere il mistero che lo tormentava da tanto tempo. Per il suo bene, si augurò che trovasse tutte le risposte che cercava. Ma era anche convinta che trovarle non sarebbe bastato a farlo cambiare.

Il sentimento per la donna che aveva amato in passato sarebbe rimasto sempre molto più forte di quello che provava per lei.

«Vi siete divertiti, ieri sera?» chiese allo zio.

«Sì, parecchio. Sharon è riuscita a liberarsi e siamo andati a South Beach a mangiare i granchi, a un cinema in Lincoln Road e a fare una passeggiata sulla spiaggia.»

«Molto romantico.»

«Già» ammise Nick. Si strinse nelle spalle, imbarazzato come un pugile sorpreso a scrivere un biglietto pieno di fronzoli per San Valentino. «Sharon è fantastica. A proposito, hai trovato i tuoi vestiti?»

«Quali vestiti?»

«Sharon mi ha detto di averli messi in camera tua.»

«Davvero?» sussurrò Ashley. «È già sveglia?»

«Quando sono uscito dalla stanza mi ha detto che avrebbe dormito ancora un po'. Non ha impegni questa mattina, solo la firma di un contratto a mezzogiorno.»

«Provo a bussare per vedere se è ancora sveglia» mormorò Ashley con un sorriso.

Uscì prima che lui potesse fermarla. La porta era socchiusa. Bussò.

«Nick?» chiese Sharon con voce assonnata e stupita. Certo, perché mai Nick avrebbe dovuto bussare?

«Sharon, sono Ashley, posso entrare?»

«Solo un secondo.»

Un attimo dopo Sharon aprì la porta. Aveva indossato la vestaglia e stava allacciando la cintura. Era una donna stupenda. Anche di prima mattina, con i capelli scompigliati e senza trucco, era bellissima. Non c'era da stupirsi che Nick si ritenesse un uomo fortunato.

«Ashley?» Sembrava stupita e incuriosita.

Lei non aveva tempo da perdere. «Due cose. Primo, perché sei andata in camera mia? Mi ero accorta che c'era stato qualcuno e Nick ha parlato di vestiti, ma non ne ho visti.»

Sharon arrossì. «Gli ho mentito. Mi dispiace.»

«Allora?»

«Volevo cercare di conoscerti un po' più a fondo.»

«Non sarebbe stato meglio andare a far compere o a pranzo insieme?»

Sharon scosse la testa. «Ashley, ho un appuntamento sabato mattina. Sii paziente fino a sabato e poi ti spiegherò tutto. E spero che mi capirai.»

«Sei molto misteriosa.»

«No. Solo un po'. Spero che capirai quando te ne parlerò. Qual è la seconda cosa?»

«Ho bisogno di informazioni su una casa che hai venduto.»

«Una casa?» chiese Sharon perplessa.

«Sì, a sud. Quasi nelle Glades.»

«Ne ho vendute parecchie da quelle parti. Quale ti interessa in particolare?»

Ashley le disse l'indirizzo, ma ancora Sharon non riusciva a focalizzarla.

«Una casa grande, con molta terra e altre costruzioni attorno» precisò Ashley.

«Ho venduto un paio di proprietà così. Purtroppo non posso accedere ai file dell'ufficio da qui, controllerò appena vado al lavoro.»

«Quando ci vai? Nick mi ha appena detto che hai solo un appuntamento a mezzogiorno.»

«Ma tu hai bisogno di questa informazione, e a me fa piacere esserti utile.»

«Grazie.»

«Cosa vuoi sapere?»

«Tutto quello che riesci a scoprire.»

Sharon annuì. «Lo avrai per stasera.»

«Forse rientrerò tardi. Mi vedo con alcuni amici per festeggiare il nuovo lavoro.» Certo, se non fosse riuscita a mettersi in contatto con Karen non ci sarebbe stata nessuna cena. «Se non ti dispiace, potresti lasciarmi quello che trovi sul letto.»

«D'accordo.» La guardò. «Non sarei dovuta entrare in camera tua, ho sbagliato. Ti chiedo scusa e spero che quando finalmente potrò spiegarti... be', spero che capirai.»

«Lo spero anch'io» borbottò Ashley. Fece per uscire.

«Ashley? Nick ti adora ed è fiero di te, non potrebbe amarti di più neppure se fossi sua figlia.»

«Lo so, anch'io non potrei fare a meno di lui» mormorò Ashley, stupita e un po' preoccupata dal fatto che Sharon le avesse parlato in quel modo. «Ti sarò grata se mi farai avere quelle informazioni.»

«Consideralo già fatto.»

Ashley tornò in cucina. Nick la guardò in attesa di ricevere spiegazioni. Lei si versò un caffè.

«Va tutto bene?»

«Benissimo» disse Ashley. Posò la tazza sul bancone. «Volevo solo ringraziarla per i vestiti.»

«Non è il tuo cellulare quello che sta suonando?»

«Cosa?»

«Il cellulare. In camera tua.»

Ora sentì anche lei il trillo del telefono. Lo ringraziò e corse in camera. Frugò nella borsa. Era Jan.

«Jan» ansimò.

«Ciao. Siamo state proprio stupide a preoccuparci per Karen, anche se ancora non mi spiego perché non ci abbia chiamato.»

«Ma di cosa parli?»

«Karen ha telefonato al lavoro anche oggi per avvertire che non si sente bene.»

«Ma se è malata perché non è a casa? E perché la macchina è nel vialetto?»

«Non lo so. Sarà la prima cosa che le chiederò quando la vedrò.»

«Passerò da lei dopo il lavoro.»

«Non mi sembra il caso, dovrebbe esserci anche lei stasera. Se non la vediamo arrivare, chiameremo rinforzi.»

«Hai ragione.» Non le parlò delle macchie di sangue che aveva prelevato dalla vasca di Karen. Non c'era motivo di preoccuparla. Se Karen aveva telefonato alla scuola, non poteva esserle successo niente di grave.

A meno che qualcuno non avesse telefonato al suo posto.

«A stasera, allora» mormorò Ashley. Chiuse la comunicazione.

Fece una doccia veloce e si vestì per andare al lavoro. Le sembrava strano non indossare la divisa azzurra da allieva. Tornò in cucina. Sharon evidentemente aveva rinunciato all'idea di rimettersi a dormire. Era appoggiata a Nick, seduto su uno sgabello, e leggevano insieme il giornale.

«Passa una buona giornata, piccola» disse Nick.

«Grazie, anche tu.»

 

Jake aveva guidato così veloce da battere ogni record, ma era stato comunque il viaggio più lungo della sua vita.

All'inizio era furioso, avrebbe voluto prendere Ashley e scuoterla fino a quando non avesse capito la situazione.

Poi però aveva cominciato a farsi delle domande. Aveva esagerato a preoccuparsi per lei? O ne aveva tutte le ragioni?

Come è possibile non preoccuparsi, quando cominci ad accorgerti che i momenti davvero importanti sono quelli che passi con qualcuno che è deciso a mettere a repentaglio la propria vita?

Era arrivato con largo anticipo, così aveva cercato un bar aperto vicino alla prigione per fare colazione e trascorrere l'ora che mancava al colloquio. Mentre mangiava le uova, buttò giù qualche appunto. Disegnò la zona dove erano stati ritrovati i cadaveri. Tutti. Bordon era la chiave. Lo aveva sempre saputo.

Fatto: esisteva la setta. Tre donne che vi appartenevano erano morte.

Fatto: non avevano trovato nessun'altra setta simile a quella.

Fatto: quasi tutti i membri erano completamente all'oscuro di atti illeciti, omicidio incluso. Si erano sentiti umiliati e mortificati quando avevano scoperto di essere stati derubati. Tutti erano ansiosi di lasciarsi il passato alle spalle.

Fatto: un'altra donna era morta.

Fatto: Nancy Lassiter, la sua compagna, si stava occupando del caso. Era morta durante le indagini, anche se non era mai stata alla sede della setta. Non che lui sapesse, almeno.

Fatto: era viva quando era uscita dalla sua barca. E nessuno l'aveva più vista fino alla scoperta della macchina nel canale, alcune settimane dopo.

Un canale che si trovava poco distante dalla sede della setta.

Fatto...

Aveva sempre avuto l'impressione che, se c'era una persona fra i membri della setta che avrebbe potuto fornire delle risposte, quello era John Mast. Mast aveva negato di sapere qualcosa sugli omicidi, ma aveva ammesso di non riuscire a spiegare alcuni dati contabili dell'ufficio di cui era a capo. Mast sapeva qualcosa.

Fatto: Mast era morto. Morto in un incidente aereo. Oppure no?

Jake tamburellò le dita sul tavolo, poi prese il cellulare e compose il numero della centrale. Marty non poteva essere già lì, forse stava ancora dormendo. Ma avrebbe trovato qualcuno della squadra.

Gli passarono Belk, il quale gli assicurò che avrebbe indagato subito sull'incidente aereo per scoprire se tutti i cadaveri erano stati identificati.

Girò le pagine del blocco e rilesse attentamente il messaggio di Ashley. Aveva ragione. Dovevano fare marcia indietro. Lei era decisa a riprendere l'accademia per finire il corso e lui non voleva che diventasse un poliziotto. Non ricordava le cifre esatte, ma sapeva che negli Stati Uniti ogni cinquantotto ore moriva un tutore della legge. Rischi del mestiere. Un mestiere che lei non doveva esercitare. Nonostante fosse quello che lui per primo aveva scelto.

Girò ancora qualche pagina e trovò lo schizzo dell'incidente. Appena tratteggiato, ma molto chiaro.

Era l'incidente che Ashley aveva visto sull'autostrada, quello in seguito al quale Stuart Fresia era entrato in coma. Guardò con attenzione il disegno. C'era una figura in nero che fissava la strada. Che fissava l'incidente. Una figura in nero.

Nero. Anche i membri della setta di Bordon vestivano di nero.

Il cellulare squillò mentre guardava il disegno. Fu stupito di sentire la voce di una delle guardie della prigione. Pochi secondi dopo la sua espressione si trasformò.

«È morto?»

«No, ma è molto grave» rispose la guardia. «Lo hanno operato d'urgenza. So quanto era importante per lei questo colloquio. Venga direttamente all'ospedale. I medici non sono molto ottimisti. Non ha ripreso conoscenza e forse non la riprenderà mai più, ma appena esce dalla sala operatoria potrà restare accanto a lui, non si sa mai.»

«Grazie.»

Jake pagò il conto e uscì. Non avrebbe saputo dire se ad appannargli la vista in quel momento era la rabbia, la delusione o l'amarezza.

 

La mattinata di Ashley fu densa d'impegni. Prima di tutto era andata a restituire il distintivo e la pistola. Non l'aveva fatto volentieri, ma aveva dovuto. Non era più all'accademia.

Poi era passata dall'ufficio del personale per firmare alcuni documenti. Subito dopo era stata messa davanti a un computer a studiare le rigature dei proiettili. Era riuscita comunque a vedere Mandy Nightingale. Era andata dritta al punto e le aveva spiegato la situazione. Mandy l'aveva ascoltata con attenzione. Per prima cosa le aveva detto che non doveva preoccuparsi, Karen aveva telefonato al lavoro quella mattina. Poi aveva aggiunto che avrebbe richiesto comunque le analisi per vie ufficiose per scoprire se la sostanza che Ashley aveva preso dalla vasca da bagno era sangue. L'avrebbe tenuta informata.

«Se Karen non si fa vedere stasera, però...» aveva iniziato Ashley.

«Allora sarò costretta ad ammettere di aver già richiesto le analisi» l'aveva interrotta Mandy.

Ashley aveva sorriso e l'aveva ringraziata.

All'ora di pranzo, Mandy le fece sapere che la sostanza era proprio sangue, ma che non era comunque il caso di preoccuparsi. Karen poteva essersi tagliata da sola, magari con un rasoio.

«Ehi, cos'è quella faccia? Te l'ho già detto Ashley, è ancora troppo presto per mettersi in allarme.»

«D'accordo, non mi metto in allarme» borbottò lei, poco convinta.

«Ashley, se credi puoi denunciare subito la scomparsa. Per te il dipartimento farà un'eccezione e ignorerà il fatto che sia trascorso così poco tempo dall'ultima volta che l'hai sentita. Ma se lo fai, i genitori verranno avvertiti subito, la polizia interrogherà i colleghi e tutte le persone che l'hanno vista di recente.»

«Aspettiamo fino a stasera.»

Subito dopo la chiamò Jan.

«Hai notizie di Karen?»

«No.»

«Neanch'io. Quando la vedo la uccido. Ascolta» continuò, «ho cambiato idea, passo a casa sua prima di venire alla cena. Se la trovo la picchio fino a farle perdere i sensi e poi la trascino in macchina con me.»

«Mi sembra una buona idea. Perché se non si fa vedere stasera...»

Il telefono di Ashley le segnalò che aveva un'altra chiamata in arrivo. Salutò Jan e prese la telefonata.

«Ashley?»

Era David Wharton.

«David, perché ci hai messo così tanto a richiamarmi?»

«Ho avuto da fare. Hai chiesto quella cosa a Sharon Dupre?»

«Sì, mi porterà le informazioni stasera.»

«Ottimo. Allora ci vediamo stasera.»

«No, non è possibile, vado fuori a cena con alcuni amici. Dobbiamo festeggiare il mio nuovo incarico.»

«Devo vederti. Ho bisogno di parlarti.»

«Tornerò tardi.»

«Invitami alla cena.»

«Non mi sembra una buona idea. Non sono neanche sicura che la cena ci sarà. Una mia amica è scomparsa.»

«Una delle due che ho visto all'ospedale? Karen o Jan?»

Fu sorpresa che le conoscesse per nome. Poi pensò che in fondo era un giornalista, era abituato a registrare i dettagli.

«Adesso non ho voglia di parlarne.»

«Capisco. Ma ho parecchie cose da dirti. Proviamoci almeno, se vengo alla cena forse riusciamo a parlarci.»

Ashley sospirò e gli diede il nome del ristorante. Si sarebbe allontanata un attimo per incontrarlo. Così almeno se quello che aveva da dirle non le fosse piaciuto, avrebbe potuto contare su una tavolata di futuri poliziotti, Arne, Gwyn e tutti gli altri. E Len.

La pausa pranzo era volata via. Raggiunse Mandy, che le spiegò da quali angolazioni si doveva fotografare un cadavere. Per oltre un'ora si esercitò con un manichino. Era soddisfatta e aveva quasi finito il rullino, quando Mandy si affacciò sulla soglia.

«Una telefonata per te. Faresti meglio a rispondere» disse sorridendo.

Ashley si precipitò al telefono, nella speranza che fosse Karen.

Non era lei, ma era comunque una buona notizia. Era Nathan Fresia. Era euforico. Stuart non aveva ancora ripreso conoscenza, ma il monitor registrava una ripresa dell'attività cerebrale. I dottori erano convinti che si sarebbe potuto risvegliare nel giro di qualche giorno. Dopo il primo momento di gioia, Ashley si preoccupò.

«Nathan, avete già reso pubblica la notizia?»

«No. Ne sono al corrente solo il personale dell'ospedale e il poliziotto di guardia.»

«Forse è meglio non dirlo in giro, considerato che anche la polizia è convinta che qualcuno voglia ucciderlo. È meglio che si continui a credere che non ci sono speranze.»

«Hai ragione. Farò in modo che non si sparga la notizia. E non lo lascerò solo neppure per un attimo.»

«Ci vediamo domani» promise Ashley, poi chiuse la telefonata.

Le cinque arrivarono in un lampo. Da Karen ancora nessuna notizia. Quando provò a chiamare Jan, non riuscì a trovare neppure lei.

Len Green apparve sulla soglia del piccolo ufficio che le avevano destinato. Era senza divisa e molto elegante. Indossava un paio di pantaloni beige e una maglietta marrone.

«Pronta?»

«Ho la macchina, Len.»

«Lo so. Ti seguo fino a casa e poi andiamo al ristorante con la mia.»

«Perché?»

«Sanno tutti che non bevi se devi guidare. E questa sera vogliamo che ti lasci un po' andare.»

«Non ho nessuna voglia di sbronzarmi. Se Karen non si fa viva non ci sarà nessun festeggiamento.»

«Non l'hai ancora sentita? Sono sicuro che non le è successo niente. Era così felice per la festa di stasera. Vedrai che viene. Andiamo, ti seguo fino a casa.»

«D'accordo, ma dovrai aspettarmi al bar, voglio fare una doccia e cambiarmi.»

«Ti aspetto per tutto il tempo che vuoi.»

 

Venerdì sera. Bordon era ancora incosciente.

Jake non riusciva a staccarsi dal suo letto. Aveva parlato diverse volte con il chirurgo, che gli aveva elencato tutti gli organi lesionati. Fegato, pancreas, stomaco, intestino. Bordon aveva perso moltissimo sangue e c'era stata anche un'emorragia interna. Avevano fatto il possibile, ma aveva solo poco più del dieci per cento di possibilità di sopravvivere ancora per quarantotto ore. Poteva riprendere conoscenza da un momento all'altro. Oppure mai più.

Gli altri detenuti erano stati interrogati a lungo. Tutti avevano negato di avere un motivo per fare del male a Bordon. Erano stati perquisiti e il locale mensa era stato ispezionato a dovere, ma l'arma del delitto non era stata trovata.

Ogni tanto, durante le lunghe ore di attesa, Jake era uscito dalla stanza per telefonare alla centrale. Era riuscito a parlare con Marty.

«Quindi Bordon è stato infilzato come uno spiedino ed è ancora vivo» aveva commentato Marty.

Jake aveva immaginato il collega che scuoteva la testa all'ironia della cosa. Un criminale come Bordon poteva farcela, mentre tante persone innocenti morivano ogni giorno.

«La sua vita è appesa a un filo.»

«Qui la situazione è sotto controllo» gli aveva detto Marty.

Poi l'aveva aggiornato sugli ultimi sviluppi. Skip Conrad aveva trovato le impronte di Jake, Marty, Nick e Ashley. Tutte persone che avevano avuto un motivo per essere a bordo. Una cosa però aveva insospettito Skip. Non vi erano impronte là dove sarebbe stato logico trovarne e c'era un'unica spiegazione possibile: qualcuno aveva pulito con cura per evitare che le trovassero.

Mezz'ora dopo, Marty l'aveva richiamato. Era molto eccitato. Da Haiti, dove l'aereo di Mast era precipitato, aveva saputo che le vittime erano ottantotto, fra passeggeri ed equipaggio. I corpi recuperati però erano solo ottanta. E John Mast non era fra quelli. Considerate la dinamica e la gravità dell'incidente, sia lui sia gli altri passeggeri non ritrovati erano stati dichiarati morti.

«È ancora vivo, Marty, lo sento.»

«Può essere, Jake. Può essere. Resti lì fino a quando Bordon tira le cuoia?»

«Sì, non mi muovo da qui.»

«Capisco. Intanto io continuo a indagare sulle case. Chiamami se hai bisogno.»

«D'accordo.»

Ora di sera Jake era esausto, e affamato. Aveva appena sentito Franklin e Blake, per metterli al corrente degli ultimi sviluppi. Stava per rientrare da Bordon quando decise, dopo qualche minuto di esitazione, di chiamare Ashley. Provò al cellulare, ma suonò a vuoto. Allora telefonò al ristorante. Gli rispose Katie. Nick e Sharon non c'erano, spiegò. E neppure Ashley.

«È passata da casa, ha fatto una doccia ed è uscita di nuovo. Andava a festeggiare il nuovo lavoro» comunicò Katie.

«Già, è vero.»

«Le dico che ha chiamato.»

«No, non importa, riprovo più tardi.»

Tornò accanto al letto di Bordon. Guardò il prete che recitava le preghiere. Il sacerdote gli aveva detto che Bordon andava davvero in chiesa regolarmente.

«Padre, le ha mai detto...»

«Non era tipo da confessarsi. E anche se mi avesse detto qualcosa, non potrei rivelargliela. Comunque non mi ha mai parlato di azioni criminali.»

«Grazie.»

«Preghi per lui, detective. Negli ultimi mesi aveva davvero trovato la fede in Dio.»

Jake annuì. E pregò. Ma le sue preghiere erano molto diverse da quelle del prete. Pregò che Bordon riuscisse a sopravvivere abbastanza a lungo da rispondere alle sue numerose domande.

 

Alle sette, Ashley non riusciva più a sopportare l'ansia e il nervosismo. Lasciò Arne, Gwyn e gli altri al tavolo e uscì dal ristorante. Karen e Jan non erano ancora arrivate.

Sentì qualcuno alle sue spalle. Len. E una sgradevole sensazione.

«Tu sai dov'è. Devi saperlo» lo aggredì. «Sei andato via dall'ospedale insieme a lei e l'hai accompagnata a casa. Sei stato a casa sua e mi hai seguita quando ci sono andata io perché avevi paura che potessi scoprire qualcosa.» Non riusciva a controllare il tono di voce. Cercò di calmarsi. «Quando eri a casa sua insieme a me hai messo le mani ovunque, così al momento delle indagini nessuno si sarebbe stupito di trovare le tue impronte. Dov'è Karen? Cos'hai fatto alla mia amica?»

«Sei impazzita?» le chiese Len, innervosito.

La gente che entrava nel locale li osservava. Ashley era rossa per la rabbia e per l'agitazione.

«Pensaci, Len. Sei uno dei principali sospetti. Dov'è Karen? Che cosa le hai fatto? Dove hai nascosto...»

Qualcosa cambiò nello sguardo di Len.

«Se le hai fatto del male, sei un verme schifoso» urlò.

Sentì qualcuno toccarle una spalla. Si girò.

Karen, rossa in viso almeno quanto lei, la fissava.

«Ashley, sono qui.»

 

Erano quasi le nove e Bordon non aveva ripreso conoscenza. Jake si massaggiò la nuca. Il dottor Matthews era appena passato, aveva guardato la scheda e controllato la flebo. Bordon respirava ancora, il cuore non aveva smesso di battere.

Warden Thompson, una delle guardie della prigione, entrò e diede il cambio al suo collega.

«Detective, forse è il caso che vada in un albergo e si prenda una stanza per la notte. Dovrebbe dormire qualche ora. Se ci sono cambiamenti la avvertiremo» disse Thompson.

Jake scosse la testa. «Se ci sono cambiamenti, anche se mi avvertite subito, potrebbe comunque essere troppo tardi.»

Thompson annuì. «Capisco. Se ha bisogno di qualcosa...»

«Grazie.»

Era esausto. Cercò una posizione più comoda, senza peraltro riuscirci. Aveva trascorso molte notti sveglio. Questa però sembrava più lunga delle altre. E più penosa.

Ripensò alla notte con Ashley e sfogliò ancora una volta i disegni. L'incidente, l'autostrada, il corpo.

La sagoma in nero.

Era solo uno schizzo, un disegno veloce. Ma Ashley aveva talento. Bastavano poche linee su un foglio di carta e tutto aveva un senso. La posizione delle auto, il corpo. Quella sagoma sull'asfalto.

E la persona vestita di nero. Solo linee, tratti di matita. Ma quello che Jake vedeva era fin troppo simile a quello che aveva visto anni prima, quando si era recato alla sede della setta.

Si alzò, si stirò, fece un cenno alla guardia e uscì nel corridoio. Era tardi, ma Carnegie non ci avrebbe fatto caso.

Lo chiamò. Carnegie rispose subito.

«Ancora al lavoro?» esordì Jake.

«Senti chi parla. Ho sentito che hai passato la giornata in ospedale. È ancora vivo?»

«Appeso a un filo.»

«Forse stai perdendo tempo.»

«Sì, forse.»

«Ho buone notizie da darti.»

«Meno male.»

«I dottori dicono che ci sono ottime speranze che Stuart Fresia si riprenda.»

«Fantastico. Avete informato Ashley Montague?»

«L'ha chiamata Nathan Fresia. Purtroppo la notizia è circolata prima che dessi l'ordine di mantenerla segreta. Comunque ci sono sempre i miei uomini di guardia, giorno e notte. Ho diramato alle pattuglie un avviso con i connotati di quel tipo che si fa chiamare David Wharton.»

«Ho anch'io qualcosa per te. Non so ancora bene che significato abbia, ma ho qui uno schizzo dell'incidente. C'è qualcuno sul lato opposto della corsia, qualcuno che indossa un mantello nero con il cappuccio.»

«Sei tu che l'hai disegnato?» Carnegie parlò a voce più bassa. «Quei pazzi della setta di Bordon si vestivano così.»

«Lo so, e c'è di più. Sono convinto che uno dei membri della setta, ritenuto morto, ora sia qui a Miami. L'uomo si chiama John Mast. Era uno dei passeggeri di un aereo che è precipitato. Il corpo però non è mai stato ritrovato. Potrebbe essere il tuo David Wharton.»

«Ma che senso ha? Le vittime collegate alla setta erano tutte donne, e sono morte con la gola tagliata. Il mio ragazzo è stato investito.»

«Non so ancora che cosa significhi, ma comincio a intravedere un collegamento. Comunque, forse Bordon può dirci qualcosa. Aspetterò. Quando torno, muoverò mari e monti per riuscire a trovare Mast. Non so ancora perché, ma sono convinto che lui e il giornalista siano la stessa persona.»

«Istinto?» suggerì Carnegie.

«Sì. Istinto.»

Jake tornò nella stanza. Si sedette e guardò Bordon morire. Un tempo avrebbe pensato che poter guardare quell'uomo mentre moriva lentamente gli avrebbe restituito la pace. Non si sarebbe mai immaginato di pregare invece perché Bordon restasse in vita.

 

A parte il fatto che Ashley si sentiva un'idiota, la festa fu un successo. C'erano tutti i suoi compagni di corso e la sommersero di stupidi brindisi.

Avrebbe voluto sedersi lontana da Len, ma lui aveva preso posto accanto a Karen, che era vicino a lei. Jan era seduta dall'altro lato del tavolo. Si era scusata almeno mille volte per non avere avvertito subito Ashley che Karen stava bene, sperava di arrivare prima, ma poi erano state bloccate dal traffico.

L'intera storia era diventata di dominio pubblico.

«Dovevi saperlo che non sarei mancata per nulla al mondo stasera» disse Karen, con uno sguardo eloquente a Len, che a sua volta guardava Ashley e scuoteva la testa.

«Sapevo dov'era, ma avevo promesso di non dirlo» confessò Len.

«Ma insomma, dov'eri?» chiese Ashley.

«Non si riesce mai a tenere un segreto» mormorò Karen. «Devo proprio farlo sapere a tutto il ristorante?»

«Karen, ho trovato delle macchie di sangue nella tua vasca.»

«Solo adesso mi rendo conto di quanto sono andato vicino a passare la notte in cella!» esclamò Len.

«Non saresti finito in cella, avresti semplicemente dovuto dire la verità» lo corresse Karen.

«E qual è questa verità?» domandò Ashley.

«Liposuzione.»

«Cosa?» chiese Ashley, incredula.

«Lo sai che ho sempre avuto la fissa di avere il sedere troppo grosso. Se ve l'avessi detto, tu e Jan avreste fatto di tutto per convincermi a cambiare idea.»

«Ma è un intervento ambulatoriale» osservò lei. «Perché non sei tornata a casa l'altra notte? E perché la tua auto era nel vialetto?»

«Sono andata in taxi, non potevo guidare al ritorno. E quando sono rientrata a casa era già tardi. Non ho risposto alle telefonate perché ero imbottita di analgesici.»

Ashley continuava a guardarla, incredula. «Hai detto a Len che andavi a fare la liposuzione e non ne hai parlato con me o con Jan?»

«Non avevo intenzione di dirglielo.» Karen guardò Len e gli sorrise. «È che avevo bevuto un po' troppo, abbiamo cominciato a parlare e mi è sfuggito. E adesso lo sapete tutti, tanto valeva mettere un annuncio sul giornale. A parte gli scherzi, grazie per esservi preoccupate tanto, non pensavo di creare tutto questo scompiglio.»

Ashley pensò che era proprio una bella serata. Stuart stava meglio, Karen era viva e vegeta. Sembrava che tutto stesse andando per il meglio.

Tutto tranne il fatto che non si era mai sentita così sola. Forse perché non si era mai sentita così in coppia come con Jake.

Le aveva detto che sarebbe tornato entro sera, ma i suoi piani erano cambiati. I compagni di corso l'avevano informata che Peter Bordon era stato accoltellato in prigione. Stava morendo e Jake era accanto a lui.

Mentre beveva il suo terzo margarita, Ashley osservò Karen e Len. Stavano ridendo. E i loro occhi brillavano quando si guardavano. Aveva il sospetto che la sua amica non avesse perso tempo, la sera che Len l'aveva accompagnata a casa. Ecco perché Len conosceva così bene l'appartamento.

Era felice per loro. Ma si sentì ancora più sola.

Si era fatto tardi e alcuni degli amici iniziarono a salutare e a tornarsene a casa. Tra i margarita e la gioia di rivedere Karen sana e salva, Ashley si era completamente dimenticata di David Wharton. Solo a quel punto si rese conto che non si era fatto vivo.

La festa ormai era finita. Jan le offrì un passaggio fino a casa. Len avrebbe accompagnato Karen.

Quest'ultima, per non smentirsi, trovò il modo di bisbigliare alle amiche: «Ho scelto il momento sbagliato per quell'intervento. Adesso sono ancora tutta fasciata e Len a letto è fantastico. Non ho mai urlato così».

«Risparmiaci i dettagli, per favore» borbottò Jan.

«Nessun problema, stiamo andando via. Len?»

«Buonanotte a tutti» disse Len.

Jan sbadigliò. «Dobbiamo andare anche noi.»

«Sì. Grazie a tutti» mormorò Ashley, mentre Jan la tirava per il braccio.

Fuori dal ristorante c'era David Wharton. Ashley ci finì praticamente contro.

«Ciao, sono in ritardo. La festa è finita, a quanto vedo.»

Ashley lo presentò agli amici e a Jan, che sembrò particolarmente interessata.

«L'altra tua amica si è fatta viva?» chiese David.

«Sì, è venuta, tutto bene.»

«Cosa le era successo?»

«È una lunga storia.»

«Posso accompagnarti a casa? Così parliamo un po'.»

Ashley esitò prima di rispondere.

David si chinò su di lei e le disse a bassa voce: «Anche se volessi, non sarebbe una grande idea farti qualcosa di male proprio stasera, con tutti questi futuri poliziotti che mi hanno visto andare via con te».

«Va bene. Jan, vai pure, mi accompagna David.»

«D'accordo. Buonanotte.»

Quando si avvicinò per baciarla, Jan sussurrò: «Ma come fai? Prima Len e adesso lui. Qual è il tuo segreto?».

«Non è come credi.»

«Guarda che non sono Karen. Come fai a sapere quello che penso?» Jan le strizzò l'occhio, disse a David che era stato un piacere conoscerlo e salutò con un cenno della mano tutti gli altri.

Ashley si avviò con David Wharton. Raggiunsero l'auto.

Quando lui mise in moto, Ashley lo guardò pensierosa. «Cosa hai scoperto?»

«Parecchie cose. Sai che Stuart Fresia sta migliorando?»

«Lo so. Ma tu come fai a saperlo?»

«Ho le mie fonti. E Peter Bordon è stato gravemente ferito durante una rissa in prigione.»

«Sì, l'ho sentito. Ma cosa c'entra con Stuart?»

David imprecò a un'auto che gli tagliava la strada. «Te lo dico appena arriviamo da te. Hai saputo qualcosa di quella proprietà?»

«Non ancora. Sharon non era tornata quando sono passata da casa, ma dovrebbe aver lasciato i documenti in camera mia.»

«Prima ci diamo un'occhiata e poi ti spiego tutto.»

«David, tutti questi misteri iniziano davvero a stancarmi.»

«Siamo arrivati.»

Parcheggiò. Come tutti i venerdì, il bar era piuttosto affollato. David esitò a scendere.

«Cosa ti succede?» chiese Ashley.

«Non voglio che mi vedano.»

Sospirò. «Possiamo entrare dall'ingresso privato, ma perché non vuoi farti vedere?» chiese con sguardo sospettoso.

«Perché il ristorante è sempre pieno di poliziotti. E non sono molto simpatico ai poliziotti.»

Entrarono. Come Sharon aveva promesso, la pratica era sul letto. David la prese senza accorgersi che ce ne era un'altra. Seduto sul letto di Ashley, cominciò a esaminare le carte.

«L'ha comprata Caleb Harrison» mormorò con fare perplesso.

Ashley studiò l'altra pratica. Fu percorsa da un brivido e da una fitta di collera. Lo fissò. Lui dovette accorgersi di qualcosa, perché sollevò la testa. E cambiò espressione.

«Ashley...»

«Brutto figlio di puttana! Sei tu il proprietario della casa accanto!»

Era furiosa. E spaventata. Fece per scappare.

David la raggiunse prima che arrivasse alla porta. Con una mano la bloccò alla vita, con l'altra le tappò la bocca per impedirle di urlare.

 

21

 

Mezzanotte.

Jake sonnecchiava e si svegliava, sonnecchiava e si svegliava. Non riusciva a stare seduto a lungo nella stessa posizione, gli venivano i crampi.

Bordon era ancora in vita.

Jake fissò l'orologio, poi guardò il viso di Bordon. Piccoli tubi gli uscivano dal naso e portavano ossigeno ai polmoni. Aveva una flebo in vena. Ma non gli avrebbero salvato la vita. Il pallore del viso ne era la prova.

Mezzanotte e mezzo. Passeggiò un po' nel corridoio per sgranchirsi le gambe. Ma ogni volta che usciva stava in ansia, temeva che Bordon si risvegliasse proprio mentre lui era lontano. Tutte quelle ore passate a pensare, a immaginare, a razionalizzare avevano rafforzato in lui la convinzione che avvenimenti apparentemente estranei fra loro fossero invece collegati e che in quel rapporto fosse nascosta la soluzione a entrambi i misteri.

Nonostante fosse tardi, decise di chiamare Skip.

Lo svegliò. Skip ci mise un po' a capire e Jake fu costretto a ripetere più volte le domande.

«Sì, non c'era nessuna impronta vicino al computer, come se qualcuno avesse pulito. Sì, anche sul telefono e sulla segreteria telefonica.»

Jake lo ringraziò e si scusò ancora per l'ora tarda. Skip disse che non c'era problema, ma la risposta non suonò del tutto sincera.

Prima di tornare nella stanza, Jake telefonò al locale di Nick.

Fu felice che a rispondere fosse proprio lui.

«Nick, sono Jake Dilessio.»

«Ciao Jake» rispose Nick, un po' sulle sue. Sua nipote poteva anche avere venticinque anni, ma lui si sentiva comunque in dovere di proteggerla. «Vuoi parlare con Ashley? La trovi sul cellulare. Immagino che tu abbia il numero.»

Jake esitò. Forse Ashley non gli avrebbe risposto, se avesse visto che era lui a chiamare. Non era neppure sicuro di volerle parlare, adesso. Era ancora arrabbiato e deluso. E pieno di dubbi. Era da stupidi avere quell'atteggiamento, preoccuparsi e cercare di proteggerla, come se lei dipendesse da lui. Come se lui avesse il diritto di conoscere tutti i suoi spostamenti.

«No, non voglio parlare con lei. Volevo solo essere sicuro che fosse a casa. E che stesse bene.»

«È grande, Jake. Rientra quando vuole. Ma questo lo sai meglio di me.»

«Nick...»

«È a casa. L'ho sentita rientrare una ventina di minuti fa.»

«Grazie.» Era incerto se aggiungere altro. Forse non c'era bisogno di preoccupare Nick. «Il fatto è che adesso sono fuori città.»

«Sì, l'ho sentito. Per tutto il giorno i notiziari hanno parlato dell'aggressione a Bordon. Dicono che le sue condizioni sono critiche.»

«Sta morendo» rispose Jake, con voce priva di espressione. «Io resto qui. Spero che riprenda conoscenza e che dica qualcosa prima di morire.»

«Capisco. Pensi che sia stato lui il mandante del caso di cui ti stai occupando?»

«Prima ne ero convinto. Adesso... non lo so. Però di certo la rissa in prigione è stata solo una messinscena per uccidere Bordon. E c'è un'altra cosa, ho trovato un disegno di Ashley dell'incidente, quello che ha fatto finire Stuart Fresia all'ospedale. C'è una figura in un angolo, incappucciata in un mantello nero. I membri della setta di Bordon vestivano così. Ho anche scoperto che un adepto ritenuto morto in un incidente aereo potrebbe essere sopravvissuto. Lo so. Forse sto esagerando, ma c'era un cronista all'ospedale, che sosteneva di essere amico di Stuart. Carnegie, il poliziotto che segue il caso, mi ha detto che ha dato un nome falso. Non riesco a smettere di pensare che forse è proprio lui il tizio della setta. Comunque sia, sono preoccupato per Ashley.»

«È a casa, per questa notte è al sicuro. Domattina le parlerò. Posso ripeterle quello che mi hai detto?»

«Sì.»

«La terrò d'occhio.»

Nick rimase in silenzio. Jake attese, pensando che volesse aggiungere qualcosa. Poi si decise a rompere il silenzio.

«Tornerò a Miami appena possibile. Per qualunque cosa, forse è meglio che tu abbia il numero diretto di Carnegie. Sai come metterti in contatto con Marty, ma se non riuscissi a rintracciarlo, ti lascio qualche altro nome.»

«Prendo una penna. Dove cavolo... Perché non c'è mai una penna quando serve? Sharon? Sparita anche lei. Sandy, hai una penna? Curtis? Eccomi, sono pronto.»

Nick annotò i nomi e i numeri che Jake gli fornì. Poi si salutarono.

Jake tornò nella stanza di Bordon. La guardia della prigione era sempre ai piedi del letto. Jake si lasciò cadere sulla sedia, esausto. Un attimo dopo rientrò il dottore. Controllò il paziente, gli sollevò le palpebre e gli sentì il polso.

«Come sta?»

«Lo vede anche lei» borbottò il dottore, stringendosi nelle spalle. «Non credo che abbia più di dieci ore di vita.»

 

La mossa successiva non faceva parte degli insegnamenti dell'accademia. Ashley l'aveva imparata a un corso di difesa personale che aveva seguito con Jan.

Una mossa abile, un calcio all'indietro forte e ben calcolato. Lo colpì proprio dove voleva.

David Wharton la mollò all'istante. Con un lungo lamento cadde a terra in posizione fetale.

«Perché l'hai fatto?» gemette David.

Ashley lo guardò, stupita dalla sua reazione. «Tu mi hai aggredita.»

«Non è vero. Cercavo solo di impedirti di scappare. Ho bisogno che tu mi ascolti.»

«Allora parla.»

«Non posso, sto per morire.»

«Non morirai. Starai solo un po' male.»

«Un po'? Sto male da cani.»

«Vedrai che poi passa.»

«Non potrò più avere figli.»

«Avrai tutti i figli che vuoi, ma ora falla finita. Se hai qualche cosa da dirmi, sbrigati. Sto per chiamare la polizia.»

«Ashley, per favore.»

«Parla.»

«Ci provo. Non hai idea di come mi sento. Non hai mai ricevuto un calcio nelle palle.»

«Parla.»

«È vero, sono il proprietario della casa vicino alla comune. L'ho comprata insieme a Stuart.»

«Cosa?»

«Aveva scoperto qualcosa. Non voleva usare il suo nome. Era meglio usare il mio. Io non avevo i soldi, ma Stuart sì.»

«E perché Stuart voleva comprarla?»

«Stava indagando sulla comune.»

«Non me l'avevi detto.»

«No, non proprio.»

«Se hai qualcosa su quelle persone, perché non ne hai parlato con la polizia?»

Con una smorfia di dolore, David riuscì a trascinarsi ai piedi del letto. «Perché se la polizia fa irruzione, non troverà niente.»

«Forse perché non c'è niente da trovare.»

David Wharton chiuse gli occhi e scosse la testa. «Accade solo in certe notti.»

«Cosa accade solo in certe notti?»

«Non lo so. Ma sono convinto che Stuart lo sappia, ed è per questo che è stato imbottito di droga e buttato sull'autostrada.»

Ashley era rimasta in piedi, con le braccia incrociate, appoggiata alla porta. Le parole di David le sembrarono sincere. Decise di credergli.

Scosse la testa. «David, tutto questo è ridicolo. Devi andare alla polizia. Possono indagare in modo discreto.»

«Non posso andare alla polizia, Ashley.»

«Perché?»

La guardò a lungo e poi fece un lungo respiro.

«Perché c'è sicuramente almeno un poliziotto corrotto.»

 

Di solito verso l'una e mezzo il locale si svuotava, ma era venerdì e c'era ancora parecchia gente.

Nick era sicuro che Ashley fosse tornata a casa. L'aveva sentita rientrare. Subito dopo la telefonata di Jake, anche Sharon era andata a dormire. Aveva detto di essere esausta. Lo era spesso negli ultimi tempi.

Non avrebbe avuto motivo per preoccuparsi, ma le parole di Jake lo avevano agitato. Aprì la cassaforte dietro al bar con le chiavi che custodiva sempre in tasca. Prese la pistola.

«Ragazzi, vi affido il bar per qualche minuto» disse a Curtis e Sandy, seduti al bancone. Katie se n'era già andata.

Nick passò nelle stanze private. Per prima cosa controllò in camera sua. Sharon era a letto, sembrava addormentata. Attraversò la casa e raggiunse la porta di Ashley. Bussò.

«Ashley?»

La porta si spalancò.

«Ciao, Nick, che c'è?» disse Ashley sorridendo.

Nick si sentì un po' stupido. «Volevo soltanto essere sicuro che tu stessi bene.»

«Sì, grazie. Sono solo un po' stanca.» Sbadigliò.

Nick notò che aveva lo sguardo appannato.

«Quanti ne hai bevuti?»

«Tre.» Gli mostrò tre dita della mano. Sorrise. «Meglio se me ne vado a dormire.»

«Domani parliamo?»

«Certo.»

La baciò sulla fronte.

Ashley lo prese per le spalle e lo baciò su una guancia. «Buonanotte zio Nick.»

«Buonanotte piccola. Sogni d'oro.»

La nipote gli sorrise e chiuse la porta. A chiave.

Strano. Ashley non chiudeva mai a chiave.

 

Lei rimase a lungo vicino alla porta per essere sicura che Nick se ne fosse andato. Poi si voltò verso David Wharton. Era ancora a terra, ma stava riprendendo colore.

«Questo è troppo» disse gelida. «Ti farò arrestare.»

«Ashley, pensa a Stuart.»

«È proprio a lui che penso.»

«Hanno cercato di ucciderlo. È in pericolo. È davvero in pericolo.»

«Cosa ti fa pensare che ci sia un poliziotto corrotto?»

Esitò. «Ho sentito parlare qualcuno. Ma nessuno mi ha creduto.»

«Non mi stupisce. Io non ti credo.»

«Perché? Ascolta, Ashley, so quanto ami il tuo lavoro. So che probabilmente tuo padre era un poliziotto molto bravo. So che il novantanove per cento dei poliziotti sono onesti. Ma anche i poliziotti sono persone. Le tentazioni esistono. Quale copertura migliore di un'uniforme?»

«Ancora non mi hai dato una prova concreta.»

David restò in silenzio per qualche secondo, prima di parlare. «Va bene, cercherò di spiegarti meglio come stanno le cose. Stuart aveva deciso di indagare sui culti religiosi più strani, voleva scoprire quante sono le persone che fanno sacrifici di animali e perché continuano a spuntare nuove sette.»

«Caleb Harrison mi ha detto che il loro non è un gruppo religioso.»

«Forse no, ma ci sono altre cose strane.»

«Faresti meglio a spiegarti, perché non ti seguo.»

«Stuart è entrato a far parte di quella comune. Un modo moderno per vivere nella semplicità del passato, così gli era stata descritta. Si è convinto che Caleb Harrison non avesse comprato la proprietà con i propri soldi e che non avesse idea di quello che succedeva. Abbiamo comprato la casa accanto per poterli controllare.»

«E cosa avete scoperto?»

«Arrivano delle barche, di notte. Non tutte le notti e senza una regola, a caso.»

«Non è proibito navigare per i canali.»

«Sì, se le barche vengono usate per attività illecite.»

«Che tipo di attività illecite?»

Scosse la testa. «Erano pacchetti piccoli. Forse eroina. Una cosa è certa: si tratta di una vasta organizzazione e anche ben gestita. La merce viene trasportata dal Sudamerica con piccoli aerei che sfuggono al controllo radar e consegnata qui nelle Everglades. Poi qualcuno la preleva e la fa entrare nel Paese, un poco per volta.»

«Devi dirlo alla polizia.»

«Ma allora non mi ascolti! In caso di un sopralluogo della polizia, Caleb Harrison mostrerà orgoglioso i suoi bei pomodori. Forse vedranno anche gli altri che coltivano la terra. Non scopriranno niente, anche perché è molto probabile che Harrison sia all'oscuro di tutto. A lui importa solo poter vivere la vita che si è scelto. Perché mai dovrebbe dubitare del benefattore che gli chiede di vivere lì e coltivare la terra?»

«La polizia...»

«Non possiamo, te l'ho già detto. C'è un poliziotto di mezzo.»

«Come fai a esserne così sicuro?»

«Te l'ho spiegato, li ho sentiti parlare.»

«Va bene, allora qual è il tuo piano?»

«Voglio coglierli sul fatto.»

«Coglierli sul fatto? E come? Non sai quando avvengono le consegne, sempre che questo traffico di droga esista davvero. Perché non avvisiamo la polizia? Potrebbero fermarli prima che raggiungano la casa.»

«No. Neanche se avessi la certezza di parlare con un poliziotto onesto. Se interrompi le consegne nelle Everglades, non ottieni altro che fermare i pesci piccoli, che non sanno un bel niente. Così non arriveremmo al capo, alla persona che ha preso Stuart, l'ha imbottito di eroina e l'ha sbattuto in autostrada.»

«David, dobbiamo farci aiutare. Lo sai. Altrimenti non saresti venuto da me.»

«Sono venuto da te perché volevo trovare il modo di far uscire Stuart dall'ospedale, prima che venisse ucciso.»

«Stuart è sorvegliato ventiquattr'ore su ventiquattro.»

«Sì, ma è sorvegliato da poliziotti.»

«Deve pur esserci qualcuno di cui ci possiamo fidare.»

«Anche se ti rivolgi a qualche pezzo grosso, la cosa potrebbe venirsi a sapere. Ma non capisci? Dobbiamo scoprire quello che succede prima che uccidano Stuart.» Si zittì di colpo, si alzò e si avvicinò alla porta.

«C'è qualcuno, lì fuori» disse sottovoce.

«David, questo è un bar e oggi è venerdì. È logico che ci sia qualcuno.»

Fece cenno di no con la testa. «C'era qualcuno. Che ci ascoltava.»

«Va bene, andiamo a vedere. C'è sempre qualche poliziotto nel bar.»

«Nessun poliziotto» insistette.

«Allora vado a cercare lo zio Nick.»

Si avviò alla porta, ma lui la fermò. «Aspetta. Devo andarmene da qui. Tu cerchi tuo zio e fai un giro attorno all'edificio, poi prima di andare a dormire ti barrichi dentro.»

«Aspetta. Voglio essere sicura che non ci sia nessuno nascosto. Mio zio era nell'esercito. È lui che mi ha insegnato a sparare. Gli chiedo di prendere la pistola e facciamo un giro per controllare che tutto sia a posto. Va bene?»

«Ashley, ti prego, non fidarti di nessuno.»

«Dovrei fidarmi di te e non di chi ha giurato fedeltà alla legge?»

«Cerco solo di salvare la vita a Stuart. Ascolta, mi impegno a raccogliere altre informazioni. Farò tutto il possibile, lo giuro. Concedimi ancora un giorno. Se non ti porto prove concrete, allora andrai da qualcuno di cui ti fidi davvero.»

«Va bene, resta lì. Vado a cercare Nick e a fare un giro di ispezione.»

Ashley raggiunse il bar. Era rimasto ancora qualche cliente.

«Nick?»

«Ashley, cosa ci fai ancora sveglia?»

«Non riesco a dormire. Andiamo a fare un giro attorno alla casa?»

«Perché?»

«Non lo so. Ho sentito dei rumori.»

«È venerdì sera.»

«Fallo per me, ti prego.»

«D'accordo.»

Nick aprì di nuovo la cassaforte e prese la pistola. La tenne lungo la coscia perché nessuno la vedesse. Quindi uscirono sul portico e fecero il giro della proprietà.

Non videro niente e nessuno.

«Che cosa hai sentito, esattamente?» chiese Nick.

Ashley scrollò le spalle. «Un fruscio. Non un rumore in particolare. Mi dispiace averti disturbato.»

«Non mi disturbi mai. Ma penso che dovremmo parlare. Parlare sul serio.»

Annuì. Il cuore le batteva forte. Non riusciva più a distinguere cosa fosse vero e cosa no. Avrebbe dovuto chiamare subito la polizia. Ma se David Wharton aveva detto la verità? Avrebbe potuto mettere in pericolo la vita di Stuart.

Erano ormai arrivati alla porta della sua stanza. Nick abbassò la maniglia. Ashley fu sorpresa quando la vide aprirsi. Poi capì. David Wharton era scappato. Evidentemente si fidava di lei tanto quanto lei si fidava di lui.

«Hai paura che ci sia qualcuno in giro e poi lasci la porta aperta?» la rimproverò Nick.

«Non volevo» mormorò imbarazzata.

Nick entrò per primo, impugnando la pistola, e le fece cenno di restare fuori. Controllò la stanza, il bagno e l'armadio. Vuoti. Guardò anche sotto il letto.

«Trovato niente?»

«Un sacco di polvere.»

«Lo so, devo dare una pulita.»

«E io devo controllare il resto della casa.»

«Vengo con te.»

«Non ce n'è bisogno. Ho la pistola e di là ci sono ancora tre o quattro poliziotti. Tu piuttosto, chiudi bene a chiave.»

«Se non vengo con te non riuscirò a prendere sonno.»

«Allora vieni.»

Perlustrarono lentamente tutta la casa, controllarono ovunque. Nick guardò anche sotto il suo letto. Sharon si svegliò.

«C'è qualcosa che non va?» chiese con voce assonnata.

«No, tesoro, continua a dormire.»

Lei fece un mezzo sorriso e chiuse gli occhi.

«Non c'è nessuno» disse Nick alla fine.

Ashley lo ringraziò e tornò in camera. Aveva un disperato bisogno di dormire. Non riusciva più neanche a pensare con lucidità. Il buonsenso e tutto quello che le era stato insegnato le ripetevano che doveva parlare con qualcuno.

Ma l'istinto no.

L'istinto la tratteneva.

Si chiuse a chiave e prima di dormire decise di fare una telefonata. Una sola.

Nathan Fresia rispose con voce esausta.

«Nathan, sono Ashley.»

«Ashley, lo sai che ore sono?»

«Mi spiace. Era con Stuart?»

«Sì. Lucy mi darà il cambio fra poco.»

«Nathan, sto per farle una richiesta che le sembrerà strana, ma la prego di accontentarmi. Non lasciate mai solo Stuart, restate con lui sempre, anche se ci sono i poliziotti.»

«Che cosa succede, Ashley?»

«Niente, è solo che nessun altro al mondo lo ama come voi e quindi...»

«Non lo lasceremo.»

«Neppure per un minuto. Ci vediamo domani.»

«Buonanotte, a domani.»

Stuart stava bene. I genitori non l'avrebbero mai lasciato solo. Neanche un poliziotto sarebbe potuto entrare e fargli del male. Era difficile credere che un poliziotto...

La mattina dopo per prima cosa sarebbe andata all'ospedale. Una volta lì avrebbe deciso come usare le informazioni che le aveva dato David Wharton.

E Jake sarebbe tornato.

Forse. Peter Bordon poteva resistere a lungo.

Pensò che sarebbe dovuta andare subito all'ospedale. Decise che avrebbe chiuso gli occhi solo per qualche minuto, poi sarebbe andata.

 

Mary Simmons si stava occupando della colazione. Le piaceva infornare il pane. Impastava e intanto meditava sul mondo che avrebbe voluto, sulla pace. Si sentiva bene, lì. Tranquilla. Pregava e lavorava.

Ross, un giovane membro dei Krishna, entrò e la colse di sorpresa. «C'è qualcuno per te. Dice che è urgente.»

«Il poliziotto?»

«No. È...»

Si interruppe, l'ospite l'aveva seguito. Mary lo vide e restò senza fiato.

«Mary?» la chiamò Ross, preoccupato.

«Va tutto bene.»

«Possiamo parlare in privato?» chiese l'uomo.

«Sì, Ross, ti spiace?»

Ross annuì e li lasciò.

«John!» esclamò Mary sorpresa.

Le andò vicino, si inginocchiò e le prese le mani.

«Mary, cara Mary, mi spiace così tanto venire a turbare la tua pace. Hai trovato quello che cercavi?»

«Credo di sì.» Gli accarezzò i capelli. «Ti credevo morto.»

«Ci sono andato molto vicino. E a quel punto ho pensato che fosse una buona idea lasciar credere a tutti che fossi morto.»

«Ma, John...»

«Mary, ho bisogno del tuo aiuto.»

«Non posso aiutarti. Non posso aiutare nessuno.»

«Tu puoi aiutarmi. Sei l'unica che possa farlo.»

«Ho la mia vita qui.»

«Mary, tu hai bisogno di pace, e non riuscirai mai ad averla se non mi aiuti. Manca poco, ci sono quasi, sto per incastrare quei bastardi che per poco non hanno distrutto le nostre vite. Devi aiutarmi.»

«Non posso.»

«Non vuoi vendicarti? Non vuoi che sia fatta giustizia? Che quelli che ci hanno sfruttato la paghino, finalmente?»

«Non voglio finire in prigione. Quello che mi chiedi di fare è illegale?»

La guardò negli occhi. «Sì, è illegale. Ma è necessario.»

Mary sospirò e chiuse gli occhi.

Poi si tolse il grembiule.

«Hai la macchina?»

«Ho di meglio» la rassicurò, con il sorriso accattivante di sempre.

 

«Ho trovato Dio.»

Jake si scosse. In un primo momento pensò di avere solo immaginato quelle parole. Peter Bordon non si era mosso. Gli occhi erano sempre chiusi.

Poi vide che muoveva le labbra.

«Ho trovato Dio. Ho trovato Dio.»

Jake si avvicinò. Le parole erano poco più che un sussurro. Bordon aprì gli occhi, ma aveva uno sguardo fisso, come se non vedesse nulla.

«Ho trovato Dio» urlò all'improvviso. «Signore e tu, tu hai trovato me? Perdonami!»

Jake guardò il dottor Matthews, che si strinse nelle spalle. «Sta morendo» si limitò a commentare. «Delira. Forse non servirà a nulla, ma provi a rivolgergli qualche domanda.»

«Peter, sono Jake Dilessio. Hai chiesto di parlarmi.»

Bordon mosse appena le labbra. «Jake.» Cercò di voltarsi verso Jake, ma senza riuscirci. «Il dolore. Le pillole. Io non riesco a pensare. Dio. Dicono che Dio perdona.»

«Peter, ho bisogno del tuo aiuto.»

«Non ho ucciso. Io non ho ucciso. Ma io... sapevo.»

«Chi è stato a uccidere? Il nome. Peter, Dio perdona. Aiutaci. In nome di Dio.»

«Datemi qualcosa per il dolore. Vorrei non dover soffrire tanto. Dio. Ho trovato Dio. Dio ha trovato me?»

«Peter, aiutami» ripeté Jake, nervoso.

Bordon deglutì a fatica. Quando si voltò appena verso di lui, Jake fu stupito di vedere che aveva le lacrime agli occhi. «Jake... Collega... Non lo sapevo. Nancy è venuta. È stata con me. No. Non ho ucciso. Non ho ucciso, ma sapevo...»

«Peter, capisco il tuo dolore e il tuo rimorso. Adesso aiutami. Ho bisogno di nomi. Ho capito. Nancy è venuta da te. Non la conoscevi perché non era mai stata alla casa, ma qualcuno la conosceva, sapeva chi era e cosa faceva. Chi era quella persona, Peter? Ti prego.»

Peter mosse le labbra.

«Cosa? Non ho capito.»

Bordon richiuse gli occhi. Jake avrebbe voluto scrollarlo per le spalle, ma temeva che ogni movimento potesse ucciderlo.

«Peter, aiutaci» mormorò. «Un nome, Peter. Ho bisogno di un nome.»

Le labbra si mossero appena. «Era così bella.»

«Bella? Chi era bella, Peter?»

«Collega... Era così bella. Le ho detto che mi dispiaceva.»

«Lo so che ti dispiace. Aiutami a catturare il suo assassino.»

«Poliziotti» urlò Bordon all'improvviso.

«Dammi un nome! O moriranno altre persone» gridò Jake esasperato.

«Collega... Mi dispiace. Mi dispiace. Non volevo. Signore perdonami.»

«Sta delirando» disse piano il dottor Matthews.

«Ha detto che mi avrebbe fatto uccidere. L'ha fatto. Un uomo morto... Un uomo morto.»

Bordon continuò a muovere le labbra. Ma senza emettere più alcun suono. Poi: «Jake...». Fu poco più di un sospiro.

Jake teneva l'orecchio praticamente attaccato alla bocca di Bordon. Le labbra cessarono di muoversi.

Il dottor Matthews si avvicinò. Gli chiuse gli occhi.

«È morto» annunciò in tono inespressivo. «Mi dispiace detective, non otterrà altro da lui. Ormai la giustizia terrena e il dolore non hanno più potere su quest'uomo.»

 

22

 

«Nick, c'è Sharon al telefono per te» chiamò Katie.

Nick si scusò con i clienti che stava servendo e rispose.

«Nick» disse Sharon a bassa voce.

«Ciao, tesoro, che c'è?»

«Ho bisogno di vederti. Subito.»

«Ho appena aperto. Ed è sabato, c'è un sacco di gente.»

«Ti prego.»

«È successo qualcosa? Stai male? Spiegati.»

«No, non al telefono.»

Era da un po' di tempo che Sharon si comportava in modo strano. E quel giorno più del solito. Nick si guardò attorno. Il locale era già pieno, però c'erano Katie e gli altri dipendenti. Ashley dormiva ancora, ma in caso di bisogno Katie avrebbe potuto svegliarla per farsi aiutare.

«Nick, ho bisogno di te. Ho paura. Ho davvero paura. Non so neanche se riuscirò a parlarti quando ti avrò di fronte. Ma devo farlo. Non posso più tenermi tutto dentro. Devo parlarti oggi. Sono pronta ad accettare le conseguenze.»

«D'accordo, se hai bisogno di me arrivo. Dammi l'indirizzo.»

Sharon glielo disse.

«Che tipo di posto devo cercare?»

«Lo capirai quando arriverai.»

 

«Tu sei completamente pazzo, John» disse Mary. «C'è troppa gente all'ospedale. Ci sono centinaia di persone.»

«È quello che ci serve, centinaia di persone.»

John si sistemò meglio la mascherina chirurgica che aveva appena rubato dal magazzino. Controllò Mary, che stava infilando una ciocca ribelle dentro la cuffia. Bene. Così si vedevano solo gli occhi. Occhi stupendi, azzurro chiaro. Anonimi come il camice che indossava.

Anche lui era irriconoscibile, anche di lui si vedevano solo gli occhi. Aveva messo le lenti a contatto e un paio di sopracciglia finte bianche. E si era truccato. Si era guardato allo specchio ed era soddisfatto del suo lavoro. I testimoni lo avrebbero descritto come un uomo di cinquant'anni.

«Tu sei pazzo» ripeté Mary.

«No, non sono pazzo. Sono disperato. Bene, lo spettacolo sta per cominciare.»

 

Alle due Jake era già per strada. Diretto a casa.

Dopo aver fatto i primi cento chilometri, si costrinse a fermarsi per un caffè. Le poche cose che Bordon era riuscito a dire continuavano a girargli in testa. La lista dei fatti gli danzava davanti agli occhi, insieme alle auto sovraccariche dei turisti e agli autocarri enormi che sobbalzavano davanti a lui.

Prese un panino e dell'altro caffè e tornò alla macchina. Aveva voglia di essere a casa. Aveva la strana sensazione che non sarebbe mai riuscito ad andare abbastanza veloce. Come un prurito, un'intuizione che lo rodeva dentro. E una pena nel cuore. Bordon non gli aveva fatto nessun nome, ma aveva ammesso la sua complicità, anche se aveva negato di avere ucciso qualcuno. La cosa non l'aveva sorpreso. Prima però era convinto che fosse Bordon a dare gli ordini. Adesso sapeva che non era così.

Bordon era stato assassinato. Gli agenti della prigione col tempo avrebbero scoperto chi aveva iniziato la rissa. Jake non poteva permettersi di aspettare quell'informazione.

Fatto: Peter Bordon era stato con Nancy Lassiter. Doveva essere lui l'uomo con cui Nancy aveva fatto sesso consenziente la notte della sua morte. Aveva scoperto qualcosa e aveva deciso di arrivare alla verità a modo suo, senza seguire le regole. Era un poliziotto in gamba. Jake provò una fitta al cuore al pensiero del dilemma morale che Nancy aveva dovuto affrontare quella sera.

Senza sapere, per tutto il tempo, che quella sera stessa sarebbe morta.

Seduto in macchina, posò il caffè e prese il blocco dal sedile accanto. Sfogliò le pagine. I suoi appunti. La scena dell'incidente grazie alla quale aveva capito che fra i due casi c'era un collegamento. Sfogliò ancora. Due pagine si erano appiccicate.

Le aprì. E sussultò.

Un altro schizzo di Ashley. John Mast, conosciuto anche con il nome di David Wharton. L'uomo che era rimasto per tutti quei giorni in ospedale. L'uomo che aveva spedito la polizia a fare indagini inutili.

Sudò freddo e cercò il cellulare. Per prima cosa chiamò Ashley. Gli rispose la segreteria.

«Ashley, qualsiasi cosa tu stia facendo, stai alla larga da David Wharton. Hai capito? Stai lontana da lui. Sto tornando a casa.» Fece una pausa. «Non importa quello che provi per me adesso, Ashley. Sono convinto che quel tizio sia coinvolto con la morte delle donne e forse anche con quello che è successo al tuo amico.»

Poi provò al ristorante. Pregò che gli rispondesse Nick. Non fu così.

Rispose Katie. Nick era fuori, non sapeva dove.

«Ashley?»

«Ashley ha dormito fino a mezzogiorno. Incredibile, con tutta la gente che c'era qui.»

«È ancora lì, Katie? Ho bisogno di parlarle, è urgente.»

«No, è andata all'ospedale più di un'ora fa.»

«Grazie.»

Chiamò l'ospedale, seguì una serie interminabile di istruzioni registrate e premette un'infinità di numeri senza arrivare a niente. Bestemmiò e riprese il viaggio.

Telefonò a Carnegie e gli disse che era sicuro che l'uomo che si faceva chiamare David Wharton in realtà fosse John Mast, che aveva fatto parte della setta e che era stato dichiarato morto, ma che era vivo e vegeto.

«Ashley deve avergli parlato di recente. Vedi di metterti in contatto con l'ospedale e dille di stare attenta. Dobbiamo trovarlo. Subito.»

Carnegie lo richiamò poco dopo. «Jake, sono all'ospedale. Sta per succedere qualcosa. I dottori sono convinti che Stuart Fresia stia per uscire dal coma. Attività cerebrale e roba del genere. Lo hanno appena portato a fare qualche accertamento. Pensano che forse questa notte riprenderà a parlare.»

«E Ashley Montague?»

«Era qui pochi minuti fa. È andata dai genitori.»

«Sei riuscito a darle il mio messaggio?»

«Mi ha assicurato che non farà niente fino a quando non torni.»

Jake sospirò di sollievo. «Fai in modo che non si muova da lì. Non importa come, trattienila.»

Mentre guidava, Jake ripensò agli ultimi avvenimenti. A ogni parola detta da Bordon. A ogni fatto, ogni ipotesi, ogni congettura. Si accorse che la lucina dei messaggi lampeggiava. Qualcuno doveva averlo cercato mentre era al telefono con Carnegie. Non riconobbe il numero. Premette il tasto.

«Jake.» La voce di lei era rigida. Non si erano lasciati molto bene. «Carnegie mi ha dato il tuo messaggio. Ho parlato con David Wharton, mi ha detto delle cose piuttosto strane. So che sei convinto che sia John Mast, so anche che forse sono tutte sciocchezze, ma mi è sembrato sincero. Adesso mi dirai che sono solo una ragazzina senza esperienza, una stupida, ma lui è convinto che ci sia di mezzo un poliziotto. O più d'uno. Io sono qui. All'ospedale. Non so più di chi posso fidarmi. Se per qualche motivo non riusciamo a vederci, ti ho lasciato una cosa. In un posto stretto. Ci vediamo quando torni.»

Per poco Jake non uscì di strada.

Bordon aveva urlato: «Poliziotti!». L'aveva sentito con le sue orecchie.

No. Non poteva essere.

Gli parve di avere appena ricevuto un pugno nello stomaco.

Poteva essere solo una manovra di Mast per confondere le idee, soffiare fumo. Eppure...

Guardò il tachimetro. Bordon era stato con Nancy. Sapeva che era stata uccisa. Forse l'aveva vista uccidere. Ma non era stato lui.

Così bella.

Collega.

Inserì la sirena e schiacciò a tavoletta.

 

John conosceva l'ospedale come il palmo della sua mano. Se l'era cavata benissimo con il poliziotto di guardia, con i Fresia e anche con Ashley Montague. Aveva la cartella clinica di Stuart e aveva consegnato la documentazione giusta alla capoinfermiera. Aveva imitato alla perfezione la firma del dottor Ontkean. Era calmo, cordiale e perfettamente in grado di portare a termine la missione. Era stato gentile con il poliziotto di guardia, che non voleva lasciarlo passare. Gli aveva detto che se voleva scortare il paziente durante gli accertamenti sarebbe stato il benvenuto. Aveva convinto i Fresia ad andare a prendere un caffè.

Quando giunsero alla fine del corridoio, Ashley cominciò a insospettirsi.

«Ma dove andiamo? Ero convinta che la stanza per la TAC fosse più vicina al pronto soccorso.»

«È così?» chiese il poliziotto che li seguiva.

John guardò Mary. Era il suo reparto. Si augurò che rispondesse in tono deciso. Doveva assolutamente portare Stuart fuori dall'ospedale e per farlo aveva bisogno che tutti restassero calmi, almeno fino a quando non avesse potuto occuparsi di loro.

«Questo è un paziente molto speciale per noi» rispose Mary, in tono abbastanza convincente.

«Qui dentro» disse David.

Invitò Ashley a precederli, poi si rivolse al poliziotto: «Mi aiuta a spingere la barella, per piacere?».

Fece un cenno a Mary. Lei estrasse una siringa e con un gesto veloce colpì il poliziotto, che si accasciò a terra.

Ashley se ne accorse solo quando si voltò.

«Ma questa non mi sembra...»

Vide il poliziotto a terra e si bloccò di colpo. Mary la raggiunse in un istante, con un'altra siringa in mano. In un attimo anche lei cadde a terra.

«Ottimo lavoro, Mary. Il più è fatto. Dobbiamo metterla sulla barella, poi li copriamo tutti e due con il lenzuolo.»

«Perché dobbiamo coprirli?» chiese Mary.

«Il modo più sicuro per uscire è l'obitorio.»

Mary abbassò la testa. «Muoviamoci.»

 

All'inizio fu come essere avvolta nella nebbia. Ripercorse gli eventi della giornata. Fin dall'inizio. Si era svegliata tardi, molto tardi. Incredibile. Non le accadeva mai. Aveva fatto una doccia veloce e si era precipitata al bar per parlare con Nick. Ma Nick non c'era e il locale era affollato. Aveva aiutato Katie a servire ai tavoli.

Nick non era arrivato. Si era innervosita. Non poteva rintracciarlo perché suo zio odiava i cellulari e si era sempre rifiutato di possederne uno. Aveva provato al numero di Sharon, ma c'era la segreteria.

Quindi era andata all'ospedale. Aveva visto i genitori di Stuart. Poi Carnegie che l'aveva messa in guardia su David Wharton. Aveva provato a chiamare Jake, ma era riuscita solo a lasciargli un messaggio. Aveva guardato con sospetto il poliziotto di guardia, poi erano arrivati gli infermieri per portare Stuart a fare la TAC. Erano stati entrambi gentili, disponibili a fornire spiegazioni, con quella voce camuffata dalle mascherine. Erano sembrati contenti di essere scortati dal poliziotto.

Era stato proprio quello a trarla in inganno. Avrebbe dovuto riconoscere David Wharton, soprattutto dopo che Carnegie l'aveva avvertita. L'aveva capito troppo tardi. Era stata una stupida. Almeno gli occhi avrebbe dovuto riconoscerli, anche con le lenti colorate e le sopracciglia finte.

Di colpo si rese conto di essere sveglia. Cosciente. Non aprì gli occhi. Aveva paura. Poi sollevò lentamente le palpebre.

«Ashley?»

Sentì pronunciare il suo nome. In lontananza. Quella voce...

Un viso davanti al suo. Spalancò gli occhi. Per un attimo non riuscì a pensare né a parlare.

«Stuart?» disse sbigottita.

«Sì, sono io.»

 

Quando ricevette la telefonata di Carnegie, Jake era quasi arrivato all'ospedale. Stuart Fresia era stato rapito. Ascoltò incredulo e subissò il collega di domande infuriate. Si sarebbe scusato con lui, più tardi. Per il momento ascoltò con attenzione il rapporto di Carnegie. Niente di strano. Gli infermieri erano arrivati con la cartella clinica e un'autorizzazione scritta, e avevano seguito la prassi con la caposala. Avevano anche invitato il poliziotto a scortarli.

Il poliziotto era stato ritrovato in una sala in disuso. Era ancora sotto l'effetto del sedativo che gli avevano iniettato. Al momento non si avevano notizie né di Stuart né di Ashley. Ovviamente i poliziotti stavano setacciando l'ospedale, ma senza risultato.

«Se lei è qui, se sono qui, li troveremo» affermò Carnegie.

«Non ci sono più» mormorò Jake in tono inespressivo. «Continuate a cercare e tenetemi informato.»

«I rapitori sono un uomo anziano e una donna sui trentacinque, quarant'anni. La signora Fresia me li ha descritti così. Le infermiere hanno confermato la descrizione. Quindi non si tratta di John Mast.»

Jake aveva i suoi dubbi, ma non disse niente. Aveva altre cose per la mente.

«Vieni lo stesso qui?» chiese Carnegie.

«No.»

«Allora...»

«Vado a cercarli.»

 

Ashley fece un brusco movimento all'indietro e sbatté la testa. Non riusciva a capire. Era sdraiata accanto a Stuart. Lui era pallido come un morto, ma riuscì a rivolgerle un debole sorriso.

«Stai bene?» le chiese.

Ashley lo guardò e scosse la testa. Cercò di sollevarsi. Girava tutto. Ricadde giù. Vide che ai piedi della barella c'erano David Wharton - o John Mast - e una donna che non aveva mai incontrato prima. La donna era l'infermiera, naturalmente. Era magra, con grandi occhi buoni e capelli castani.

«Che cosa sta succedendo?» chiese nel tono più duro che le riuscì.

«Diventerà un ottimo poliziotto» disse Stuart con voce debole. «Anche se fossimo criminali incalliti, cercherebbe comunque di farci tremare come gelatine.»

«Ashley, mi dispiace» disse John Mast. Si era tolto il camuffamento.

«Ciao, sono Mary» si presentò la giovane donna.

«Ma vi rendete conto che siete colpevoli di rapimento e di chissà cos'altro?» gridò Ashley. «E tu, brutto figlio di puttana.» Lo fissò. «Sei John Mast. Non esiste nessun David Wharton.»

«Ashley, non ho molte forze, ma cercherò di spiegarti» disse Stuart.

«Tu pensa a riposarti, Stuart» intervenne John Mast. «È troppo intontita per farmi a pezzi. Le parlo io.»

«Mi hai mentito» lo accusò Ashley.

«Sì, ma per una buona ragione. Ho dovuto farlo. Dovevo prima conoscerti. È vero, sono John Mast. E sì, sono stato in prigione insieme a Bordon, per frode. Ma non c'entro con quello che succedeva. Non ho parlato solo perché Bordon mi aveva avvisato che ci avrebbero uccisi se non fossimo andati in prigione, se non avessimo scontato la pena e soprattutto se non avessimo portato il segreto nella tomba. Forse non mi crederai, ma non so chi ha ucciso quelle donne. So solo che l'ultima era un poliziotto. Ero nella casa, la notte che c'era anche Nancy Lassiter. L'ho vista solo di sfuggita. Era con Bordon. Peter amava le donne. Ho pensato che fosse una qualsiasi che aveva incontrato per strada. Non so molto di più, perché sono rimasto chiuso nella mia stanza. Poi, molto tardi, ho sentito la porta. Era entrato qualcuno, stava rimproverando Peter. Peter era stato un idiota. Peter aveva rimorchiato una poliziotta. Adesso era meglio che si desse da fare ad aiutarli per evitare che lei riuscisse a scappare. E non solo questo. Lei poteva denunciare l'uomo che urlava contro Peter, perché lavoravano insieme. È per questo che so che c'è almeno un poliziotto coinvolto.»

Ashley scosse la testa. «Mi stai dicendo che è stato un poliziotto a uccidere Nancy Lassiter?»

«Credo proprio di sì» disse John. «Ma c'era anche un altro uomo quella sera. Non ho visto né lui né il poliziotto. Non ho aperto la porta. Devo ammetterlo, ero terrorizzato. Ma ho sentito una terza voce. Ho immaginato che si trattasse dell'uomo che Peter chiamava il Padrino della setta. Sapevo che di tanto in tanto accadeva qualcosa di strano, ma non ho mai saputo in anticipo quando. In quelle notti mi chiudevano dentro. Anche le ragazze e gli altri. Tutti chiusi nei loro alloggi. Qualsiasi cosa fosse, il Padrino ne faceva parte. Non siamo stati né io né Peter a uccidere quelle ragazze.» Fece una pausa e riprese fiato. «Peter sapeva che erano state uccise. E sapeva anche il perché. Ma ha tenuto la bocca chiusa. Sapeva anche che gli omicidi erano stati architettati ed eseguiti in modo da far credere che si trattasse di una punizione per avere trasgredito al culto, ma non era così. Era solo una copertura. Dovevano aver visto cose che non dovevano vedere, per questo dovevano morire.» Rimase in silenzio per un momento. «Tutti pensarono che fossi morto in quel disastro aereo. Ero appena uscito di prigione. Ho ritenuto opportuno lasciarlo credere. Non mi è stato difficile procurarmi un'altra identità. I falsari esistono anche per questo.»

L'effetto dell'anestesia iniziava a svanire. Ashley si alzò un poco e si toccò la testa.

«Mi dispiace, sei caduta quando ti abbiamo messo nell'ambulanza» spiegò Mary.

«Fantastico» borbottò. Si girò a guardare come stava Stuart.

Ma lui che ruolo aveva in tutta questa storia? Era sdraiato, aveva gli occhi chiusi. Sembrava svenuto.

«Stuart» lo chiamò, preoccupata.

Stuart aprì gli occhi. «Non preoccuparti, sto solo riposando. Ho ripreso conoscenza circa ventiquattro ore fa. Ma non l'ho fatto sapere a nessuno. Neppure ai miei genitori» aggiunse con tristezza.

«Potevano tradirsi» spiegò John Mast.

«Tu lo sapevi?»

«Io sapevo solo che dovevo portarlo fuori dall'ospedale prima che qualcuno riuscisse a ucciderlo.»

«E tu, Mary, tu chi sei?»

«Facevo parte della setta» spiegò, poi aggiunse: «Le donne uccise erano mie amiche».

«Mi dispiace. Dove ci troviamo? Perché mi avete rapita?»

«Avevamo bisogno di te. E poi hai insistito per accompagnarmi a fare quell'esame» le ricordò Stuart. «E sei un poliziotto.»

«Non sono un poliziotto» disse in tono stanco. «Lavoro per la polizia.»

«Comunque sia. Hai delle conoscenze.»

«Dove siamo?»

«Alla casa, naturalmente» disse John.

«Quale casa?»

«Quella vicina alla comune.»

«Lo sai, vero, che prima o poi vi troveranno?»

«Spero poi, dopo che avremo le prove.»

«Prove di cosa? Come facciamo a procurarcele?»

«Questa notte accadrà qualcosa.»

«Come lo sai?»

«È previsto che i nostri vicini cantino tutti insieme. Saranno riuniti davanti alla casa mentre qualcosa accadrà sul retro. Ashley, ma non capisci? Vengono usati, allo stesso modo. Il Padrino ha finanziato Caleb, l'unica cosa che deve fare è non accorgersi di quello che succede dietro la casa, di tanto in tanto. Se scopriamo di cosa si tratta, avremo un collegamento con gli omicidi.»

«Facciamo un passo indietro. Dav... John, come hai incontrato Stuart?»

Scrollò le spalle, imbarazzato. «Ho scritto davvero un articolo su quel bambino con otto mani.»

«Ci siamo incontrati al giornale» spiegò Stuart.

«Vi credo. Adesso però abbiamo bisogno di aiuto, aiuto vero. Là fuori ci sono due criminali senza scrupoli che non esiteranno un attimo a ucciderci. Dobbiamo chiamare la polizia.»

«Ashley, quante volte devo ripeterlo?» sbottò John. «C'è almeno un poliziotto corrotto. E non sappiamo chi sia.»

«Questo non significa che tutta la polizia sia corrotta. Dev'esserci qualcuno di cui possiamo fidarci.»

«Chi?»

«Dilessio» disse a bassa voce. «Jake Dilessio. Lo sai che lui è a posto.»

«Sì. Questo è vero. Non mi ha dato un attimo di tregua. Soprattutto dopo la morte della sua compagna. È stato lui a farmi finire in carcere.»

«Perché non gli hai detto che Nancy era stata nella casa con Bordon?»

«Avevo paura» disse John Mast con schiettezza. «Avevo solo ventun anni. E Bordon mi aveva assicurato che mi avrebbero ucciso.»

«Allora perché adesso sei alla ricerca della verità?» chiese Ashley.

«Sono già morto una volta nell'incidente aereo» le spiegò. «Quando mi sono ritrovato sulla spiaggia, ho capito che dovevo scoprire chi era il responsabile di tante vite distrutte.»

«Chiamiamo Dilessio.»

«Non serve. Ho già provato. Gli ho lasciato un messaggio anonimo pieno di indizi. Avrebbe dovuto capire. Ma non è successo niente.»

«La segreteria telefonica» sussurrò Ashley.

Le impronte sulla segreteria di Jake erano state ripulite. Chi si era introdotto sulla barca doveva avere ascoltato e cancellato i messaggi.

«Cosa?»

«Non ha mai sentito i tuoi messaggi. Ascolta, Jake non è un poliziotto corrotto. E noi abbiamo bisogno di qualcuno che ci possa aiutare.»

«Sì, fantastico. Lo chiamiamo, lui chiama la centrale e così l'assassino saprà esattamente dove ci troviamo. Certo che verrà, e porterà anche i rinforzi, e noi finiremo con un proiettile in corpo» borbottò John. «E come se non bastasse, vive al porticciolo.»

«Anch'io vivo lì» gli ricordò Ashley, senza capire.

«Non ci sei ancora arrivata? È così ovvio. Al locale di Nick succedono strane cose, Ashley. Non mentivo ieri sera. C'era davvero qualcuno che si aggirava intorno alla tua stanza.»

Lei si prese un po' di tempo per riflettere. Jake era convinto che qualcuno fosse stato a bordo della Gwendolyn. Non avevano preso niente, ma avevano aperto il computer e consultato i file, avevano ascoltato i messaggi della segreteria, sentito le informazioni e poi li avevano cancellati. Lei stessa era stata spinta in acqua. E qualcuno era entrato nella sua stanza.

Sharon.

Sharon aveva promesso di spiegarle tutto proprio quel pomeriggio, ma non era tornata in tempo, prima che Ashley andasse all'ospedale. E poi... Poi il mondo si era capovolto.

«Dobbiamo assolutamente chiamare Jake» ripeté. «Sono sicura che riusciremo a chiarire la situazione.»

«Prima che ne parli con mezza città?»

Non ebbe il tempo di rispondergli. John si irrigidì di colpo.

«Zitta.»

Una specie di fruscio lungo il muro esterno.

«Forse è già la polizia» sussurrò Ashley.

«Dobbiamo proteggere Stuart» rispose John a bassa voce. «Mary, tu resta con lui. Ashley, io vado. Ho una pistola. Rubata, temo. Ma so come usarla.»

Prima di seguirlo, Ashley si fermò. «Mary, dopo che sono uscita, spingi la credenza contro la porta. Anzi, mettici contro tutto quello che puoi. E blocca la finestra con il cassettone. Hai capito?»

«Certo» disse Mary, con gli occhi sbarrati.

Di colpo era cosciente del pericolo che correva, doveva difendere un uomo con la forza di un gattino denutrito.

Ashley annuì e si augurò che Mary fosse più forte di quanto sembrasse. Appena fu uscita, sentì trascinare i mobili. Mary sarebbe riuscita a cavarsela.

Si precipitò dietro a John. Non sapeva come fosse fatta la casa. Era piccola, probabilmente vecchia, più simile a un capanno da caccia che a una casa vera e propria. C'era la camera da letto dove erano stati fino a quel momento, una seconda camera di fianco, una stanza che faceva da soggiorno e sala pranzo, e la cucina. Due ingressi, uno sul davanti, l'altro in cucina.

Si accorse che era già buio. Se c'era davvero qualcuno là fuori, loro erano in svantaggio.

«Le luci» bisbigliò. «Dobbiamo spegnere immediatamente tutte le luci.»

John annuì, fece un passo indietro e premette un interruttore. Le luci si spensero.

Rimasero a lungo al buio, in ascolto. All'inizio non si vedeva niente. Poi Ashley iniziò a distinguere vagamente la sagoma di John Mast. Impugnava una pistola. Trattenne il fiato, attraversò veloce la stanza e strisciò lungo il muro che separava il soggiorno dalla cucina.

Restarono ancora in ascolto.

Con un terribile schianto, la porta si spalancò.

John Mast sparò. Per una frazione di secondo l'oscurità fu rotta dal riverbero dei colpi.

Calò di nuovo il buio.

Poi vi furono altri spari. Ma questa volta provenivano dall'esterno.

 

Jake fermò l'auto il più vicino possibile alla barca. Saltò giù, percorse veloce il pontile e si precipitò dentro la Gwendolyn. Andò diretto alla doccia e vi trovò due pratiche di compravendita immobiliare. Lesse gli indirizzi e il primo impulso fu di precipitarsi sul posto. Poi si impose di restare calmo. Accese il computer e consultò alcuni vecchi file. Lesse con attenzione rapporti e articoli di giornale.

Premette il pulsante della segreteria che forniva l'elenco delle chiamate della settimana. Chiunque era stato sulla barca aveva cancellato i messaggi.

Non era importante, aveva quello che gli occorreva. Sapeva la verità. Almeno su uno dei pezzi principali di quel dannato puzzle. Però doveva ancora agire con prudenza.

Scese dalla barca e telefonò all'unica persona di cui era sicuro di potersi fidare. L'unica persona che poteva dargli ciò di cui aveva un estremo bisogno.

Mentre andava verso l'auto, vide Nick Montague correre verso di lui, come se volesse bloccarlo. Si fermò, preoccupato. Si augurò che Nick non avesse intenzione di litigare.

Non era così.

«Vengo con te» annunciò mentre si dirigeva alla portiera dell'auto.

«Nick, non è...»

«Sono un veterano del Vietnam, ho la pistola e me la cavo bene» disse Nick con semplicità. «Non so niente di quello che sta succedendo, ma hanno mia nipote. E io so dove sono andati.»

«Anch'io» borbottò Jake.

Nick lo guardò. «Sharon mi ha dato gli indirizzi che le aveva chiesto Ashley. E tu?»

«Me li ha lasciati Ashley.» Guardò Nick. «Non andiamo direttamente lì.»

«Ma è in pericolo.»

«Un'irruzione servirebbe solo a cacciarla in un pericolo ancora maggiore» osservò Jake.

Nick lo fissò a lungo, poi annuì.

«Non hai chiamato chi tu sai, vero?» chiese Nick.

«Non i Miami-Dade.»

«Allora chi è quello corrotto?» chiese Nick, dopo una pausa.

«Penso di saperlo, ma non ne sono sicuro. Credo che ci sia più di un poliziotto corrotto. Penso che sia coinvolto qualcun altro, qualcuno che vediamo spesso da queste parti.»

«Hai un piano?»

 

Un urlo.

Ashley udì un colpo, come di un corpo che cade. John si precipitò in avanti.

«Aspetta!» gli gridò.

Troppo tardi. Ci furono altri spari.

John Mast emise un gemito. Lo vide crollare a terra come una bambola di pezza. Rabbrividì. Aveva gridato, adesso sapevano dove si trovava. C'era una sola via di fuga. La porta della cucina.

Si precipitò fuori e nel buio cercò di capire dove si trovava. C'erano alberi ovunque. Sentieri fra gli alberi, la recinzione sulla destra, sul retro la palude e l'acqua.

Non poteva andare davanti alla casa. Sarebbe caduta nell'agguato. Tagliò fra gli alberi. Non ne aveva la certezza, ma era convinta che chi aveva sparato fosse da solo. Di una cosa però era sicura: l'avrebbe seguita. Questo, se non altro, avrebbe protetto Mary e Stuart. Almeno per un po'. Sempre che fosse riuscita a giocare al gatto e al topo con l'omicida, fra gli alberi e le Everglades.

Sentiva il rumore dei passi che la seguivano. Continuò ad avanzare. Il bosco era terminato, l'erba era altissima. Strinse i denti. Se quell'erba era tagliente, sarebbe stata ridotta a brandelli dopo pochi metri. Per fortuna non lo era. Almeno per ora. Il suolo era ancora solido, c'erano altri alberi davanti a lei. Continuò ad avanzare. Si ritrovò impigliata in una gigantesca ragnatela. Fu sul punto di urlare. Si trattenne.

Un futuro poliziotto che si fa abbattere da una ragnatela. Impossibile. Bisogna andare avanti.

Di colpo sentì delle voci provenire da qualche parte davanti a lei. Dopo una macchia d'alberi, il terreno cambiò di colpo. La terra scendeva verso il canale.

C'erano degli uomini. Parlavano a bassa voce e scaricavano scatole di plastica da due canoe tirate in secca nel fango.

Erano vestiti di nero, totalmente di nero. Si fondevano con la notte.

Rallentò l'andatura ma continuò a correre. Gli uomini erano davanti a lei, alle sue spalle c'era un uomo armato.

Uno degli uomini lanciò un grido. Ashley si concentrò per cercare di capire cosa succedeva.

Fu in quel momento che inciampò nel filo. Era una trappola.

Era fissato in basso, fra gli alberi che segnavano il confine della proprietà. Non l'aveva visto, non poteva immaginare che ci fosse. Volò per aria e si ritrovò nel fango.

Riuscì a non urlare, ma il piede era ancora impigliato nel filo. In silenzio lottò per liberarsi.

Di colpo si rese conto che un'ombra la sovrastava. Anche l'uomo che l'aveva seguita era vestito di nero. Sollevò lentamente lo sguardo. Non poteva essere più vulnerabile e in pericolo di così.

«Ciao, Ashley» disse l'uomo a bassa voce.

 

23

 

No. Non era morto. Non ancora. Ma se non avesse trovato aiuto, e in fretta, lo sarebbe stato presto. La vita lo stava abbandonando, la sentiva scivolare via dal suo corpo.

Non aveva gridato per il dolore, quando il proiettile gli aveva squarciato la carne. Era riuscito a controllarsi. Si augurò che nessun organo vitale fosse stato colpito. Si augurò di trovare la forza per recuperare la pistola, che gli era scivolata di mano quando il proiettile l'aveva raggiunto.

Strisciò, un centimetro dopo l'altro, lasciando una scia di sangue dietro di sé, una scia viscida come quella di una lumaca. Aveva bisogno della pistola. Quell'uomo sarebbe tornato.

Dopo aver preso Ashley.

Il dolore gli tolse il fiato. Si fermò. Ashley poteva morire e lui ne sarebbe stato responsabile. Se non riusciva a raggiungere la pistola.

Anche Stuart e Mary potevano morire, e tutti i loro sforzi sarebbero stati inutili. L'assassino sapeva come alterare la scena del crimine. Avrebbe fatto in modo che sembrasse che Ashley avesse cercato di lottare contro di loro per poi ucciderli, ma non prima che loro uccidessero lei. E l'omicidio di Cassie Sewell sarebbe stato attribuito a lui.

La pistola era solo a pochi centimetri.

«Ciao, Marty» rispose Ashley.

Aveva deciso che valeva la pena di tentare il bluff.

«Per fortuna sei qui, Jake è con te?»

«Brava, signorina Montague. Attrice nata, talento sprecato per la polizia.»

Ashley annuì. Almeno ci aveva provato. «Se hai deciso di spararmi, un posto vale l'altro.»

«Già. Prima però mi farai entrare nella stanza dove si trova Stuart. Potrei sparare attraverso la porta, naturalmente. Ma si sono barricati dentro, o sbaglio?»

«Sì.» Lei stessa si stupì di avere risposto con una voce tanto calma. Il cuore le batteva forte, per la paura e per il rimorso. Era giunta l'ora. Da un momento all'altro lui avrebbe sparato. E non avrebbe mancato il bersaglio. Ashley sapeva bene com'era un proiettile uscito da un corpo. Adesso avrebbe saputo anche che cosa si provava a sentirlo entrare.

«Andiamo Ashley, alzati.»

La prese per un braccio. Ashley serrò i denti. Marty era forte, molto più di quanto il suo atteggiamento rilassato facesse supporre. Le conficcò le dita nel braccio. Il piede però era ancora impigliato nel filo e lei sentì un dolore bruciante alla spalla.

«Il filo, Marty» borbottò. «Non posso andare da nessuna parte se non mi liberi.»

Si chinò per districarla e le offrì l'unica possibilità che avrebbe mai avuto.

Lui aveva la pistola. Lei soltanto la forza della disperazione.

Sollevò il ginocchio e glielo sbatté con tutta la forza che aveva contro l'inguine. Il colpo ebbe l'effetto desiderato. Gli uscì un rantolo di dolore e cadde in avanti.

Lei scattò. Come un lampo. In qualche modo riuscì a liberare il piede e cominciò a correre.

Il primo proiettile la mancò di un soffio. Ne sentì il sibilo prima che si conficcasse in un albero. Dolore o no, si era rialzato. Altri spari fischiarono fra gli alberi. Si stava avvicinando. E lei non sapeva dove stava correndo, se non nel buio più nero.

Avanzò e scoprì che gli alberi si diradavano, il suolo diventava morbido e paludoso. A ogni passo affondava un po' di più. L'erba adesso era tagliente. L'acqua attorno a lei era sempre più alta.

Inciampò e cadde in avanti.

Un altro proiettile le sfrecciò accanto. Dal suono capì che lui le era alle spalle. Era vicino, sempre più vicino.

Poi, nel buio, si sentì afferrare. Il terrore le chiuse la gola. Aprì la bocca per urlare.

«Zitta!»

Una mano le chiuse la bocca. Due braccia forti la strinsero.

Sporca, fradicia, coperta di fango, strizzò gli occhi e fissò l'uomo, sporco almeno quanto lei.

La mano allentò la pressione.

«Jake?»

«Al riparo, dietro di me, dietro quegli alberi.»

Si staccò e scosse la testa. «Jake, è... è Marty» gli sussurrò.

«Lo so.»

Poi fu stupita di vederlo fare un passo in avanti.

«Marty!»

Seguì un momento di silenzio. Ashley deglutì con forza. Jake così gli aveva rivelato dove si trovavano. Marty avrebbe potuto sparargli con facilità.

«Jake?»

Nell'oscurità, Ashley riuscì a distinguere la sagoma di Marty. Si era liberato della cappa nera. Era vestito come al solito.

Stranamente non era sporco di fango.

«Jake, mi dispiace. Si tratta della nipote di Nick. Dev'essere finita nel giro della droga o qualcosa di simile. È complice del rapimento all'ospedale. C'è dentro fino al collo.»

«Ti darò un unico avvertimento, Marty» disse Jake con calma. «Vorrei solo prendere la mira e spararti, ma non so ancora chi sia il tuo socio. Non sei stato tu ad andare sulla Gwendolyn. Voglio sapere chi è stato. Quando ho capito che hai ucciso tu Nancy, avrei voluto spararti nelle ginocchia e strapparti il cuore dal petto mentre respiravi ancora. Ma...»

«Ma cosa?» lo interruppe Marty. «Ma ho una pistola, è questo? Tu sarai anche il grande detective Dilessio, ma io ho un'ottima mira, e adesso sono in vantaggio. Tutti ammirano Jake, tutti lo rispettano. È lui quello che ha intuito, quello che fruga nella spazzatura e trova l'indizio chiave. Non immagini neanche come sia stato, guardarti giorno dopo giorno, lavorare con te e vederti soffrire per Nancy Lassiter. Ma non ci sei arrivato.»

«Invece sì. Un po' in ritardo, in questo hai ragione, ma sono qui. È vero, mi sento un idiota. Sei contento di sentirmelo dire? La prima volta che ho visto Bordon, mi ha dato un indizio. Fumo e specchi. La setta non significava niente. In punto di morte ha continuato a ripetere collega. Naturalmente ho pensato che si riferisse a Nancy. Ma poi ho cominciato a capire che forse si riferiva a qualcun altro. Allora sono andato a casa e ho guardato delle vecchie pratiche. Ho trovato l'anello mancante in un articolo che riportava il ritrovamento di Nancy e dell'auto. Tu eri stato il primo poliziotto ad arrivare sulla scena. Eri nella narcotici in quel periodo. Mi sono chiesto che cosa ci facessi lì. Sei stato tu a uccidere le donne, Marty, o è stato il tuo socio?»

Marty sogghignò e si strinse nelle spalle. «Non sai ancora chi sia, vero, Jake?»

«Ho un sospetto.»

«Non lo sai.»

«Hai ucciso tu quelle donne, Marty?»

«Sì, Jake, le ho uccise io. Erano troppo curiose. È stata colpa loro. Non avrebbero dovuto ficcare il naso dappertutto.»

«L'ultima vittima. Apparteneva alla comune qui a fianco, giusto? Ha visto cose che non doveva vedere?»

«Sei un genio» disse Marty sarcastico.

«E Nancy? Hai ucciso anche lei?»

«Avresti dovuto vedere che faccia ha fatto quando mi ha visto nella casa. Era sbalordita. Una donna in gamba. Ha fatto in fretta a capire. Mossa sbagliata. L'ho uccisa. E quando avrò finito con te andrò in cerca della tua piccola rossa. Adesso il problema è lei. Lei con quei suoi disegni. L'avrei eliminata comunque, anche se tu non fossi arrivato sulla scena. Quel ritratto di Cassie Sewell era... metteva i brividi. Chi avrebbe potuto immaginare che fosse amica di quello stupido giornalista che ho riempito di droga e buttato in mezzo alla strada? Buffa la vita, no?» concluse con un ghigno.

«Odio ammetterlo, Marty» mormorò Jake molto calmo. «Spero proprio che ti condannino a morte.»

«Non mi hanno ancora preso.»

«Sei in arresto, Marty, e sarai processato.»

«Tu hai una pistola. Io ho una pistola. Contiamo fino a tre. Che cosa succede se mi uccidi? Che cosa succede se muoio? Continuerai a cercare, Jake. Perché c'è ancora qualcuno là fuori.»

«Non ti ucciderò Marty.»

«Giusto. Io ucciderò te.» Rise. «Guardati, Jake. Da solo, come al solito. Fai sempre incazzare Blake per questo, e lo sai. Credo che mi compatisca, perché devo lavorare con una persona simile. Guarda Jake mi dirà. Era un tipo così solitario. Avrebbe avuto a disposizione un'intera squadra, ma ha deciso di fare tutto da solo. Sai una cosa, Jake? Questa volta ti è andata male.»

«Butta a terra la pistola.»

«Sei tu quello che finirà a terra. Posso batterti. E se non ci riesco, be', allora ci vediamo all'inferno.»

«Butta la pistola.»

«Neanche un colpo di avvertimento?»

«Butta la pistola. Sei in arresto. Hai il diritto...» iniziò Jake.

Marty puntò la pistola. Fu veloce. Ma Jake di più. Gli spari furono assordanti. Ashley, terrorizzata, si aggrappò all'albero. Trascorsero secondi lunghi come un'eternità. I due uomini erano ancora in piedi.

Poi Marty crollò, faccia in avanti, nel fango.

Il mondo si paralizzò. Ashley avrebbe voluto correre da Jake, ma sentì dei rumori alle sue spalle e si voltò. Vide un uomo, con i capelli lunghi e neri come l'inchiostro, il viso sporco di fango. Occhi color nocciola, l'unico bagliore nel viso, la fissavano. Sentì un braccio sulle spalle. Si irrigidì, pronta a combattere.

«Va tutto bene, signorina Montague» disse l'uomo, con una voce calda come un alito di vento. «Lo lasci da solo. Per qualche minuto. C'è qualcuno che vuole vederla.»

Ashley guardò alle sue spalle e per un attimo le sembrò di essere finita in un film dell'orrore. Altre persone venivano verso di lei. Si muovevano in silenzio nell'acqua e lungo l'argine. Stupita, riconobbe uno di loro.

«Zio Nick?»

«Sì, piccola.»

Si precipitò, o meglio inciampò, verso di lui e fu accolta dalle sue braccia. La tenne stretta. Non parlarono. Gli altri, ne contò cinque, rimasero indietro. In silenzio. Sentì un rumore e si voltò.

Jake si era avvicinato al cadavere del collega. Si chinò e gli posò due dita sulla gola. Rimase fermo per alcuni secondi, poi si rialzò.

«È morto» annunciò esausto. Tornò verso di loro.

«Lui è morto» disse Ashley. «Ma ci sono dei trafficanti di droga. Li ho visti. Io...»

«Tranquilla, Ashley, è tutto sotto controllo» rispose Jake. «Su una cosa Marty si è sbagliato. Sapevo di non poter fare tutto da solo. Lui è Jesse Crane, gli altri sono i suoi uomini, del distretto di Miccosukee.»

L'uomo dagli occhi color nocciola annuì serio. Qualcosa nell'atteggiamento solenne dell'uomo la tranquillizzò. Ashley riprese a pensare con lucidità.

«C'è bisogno di un'ambulanza. David... John Mast è ferito. Forse è morto. Stuart Fresia e una donna di nome Mary sono barricati in una stanza della casa.»

«Faccio la richiesta via radio. L'ambulanza arriverà subito» disse Jesse Crane.

Jake stava già correndo. Ashley lo seguì a ruota e anche Nick e gli altri.

Quando Ashley raggiunse il retro della casa, vide che la porta della cucina era aperta. Jake era già dentro. Affrettò il passo ed entrò subito dopo di lui.

«John!» urlò. «Non sparare. Sono io. Sono con Jake Dilessio e altri poliziotti. Poliziotti puliti.»

John Mast si reggeva a stento, aprì la mano insanguinata e lasciò cadere la pistola. Jake si chinò su di lui. John lo guardò con un lamento.

«Dilessio. Sei tu. Ashley ti dirà tutto. L'ho rapita insieme a Stuart, ma ti giuro che l'ho fatto solo per proteggerlo.»

«Taci, ragazzo» borbottò Jake. «Conserva le energie.»

Poi gli strappò la camicia per vedere la ferita e cercare di arginare l'emorragia.

«Cosa farai di me, adesso?» chiese John.

«Niente, tranne metterti su un'ambulanza. E forse portarti a cena fuori, se sopravvivi, naturalmente.»

John lo fissò e accennò un sorriso. «È un buon motivo per farcela. Scroccarti una cena.»

«Sapevo che l'avresti detto.»

«Sei sicuro che non sono già morto?» chiese preoccupato. «Mi sembra di sentire cantare.»

«È il gruppo nella casa a fianco» lo rassicurò Ashley, dopo essere rimasta in ascolto per qualche secondo.

Quelli della comune facevano il loro raduno, cantavano all'ora stabilita.

Non avrebbero visto il male, sentito il male, raccontato il male. Forse avevano intuito che era l'unico modo per restare vivi.

Ma i canti sarebbero presto terminati. La polizia stava per entrare in azione.

 

Le quattro del mattino.

Per ore il posto aveva pullulato di poliziotti. Sirene, luci che lampeggiavano, ambulanze che andavano e venivano. Sia John sia Stuart erano stati portati subito in ospedale. Mary Simmons, molto scossa, aveva risposto con calma e franchezza a tutte le domande. Aveva ammesso il suo ruolo nel rapimento e si era scusata almeno mille volte. Non le importava andare in prigione. Aveva fatto quello che riteneva giusto. Il suo credo le imponeva di fare tutto il possibile per salvare la vita di Stuart, perché sapeva che gli assassini avrebbero cercato di ucciderlo.

In seguito l'ufficio del procuratore l'avrebbe messa sotto accusa, ma per il momento, nonostante il ruolo che aveva avuto nel rapimento, le concessero di tornare a casa.

Jake invece doveva fornire più spiegazioni. Ashley ne ascoltò alcune, ma non tutte. Venne rimproverato per non aver informato il capitano di quello che aveva intenzione di fare e fu costretto a spiegare più di una volta che non aveva altro modo per non rischiare di coinvolgere poliziotti pronti a uccidere Stuart Fresia, se non chiedere aiuto all'esterno del dipartimento.

Jake rispose a tutte le domande in tono pacato, senza perdere mai il controllo.

I rimproveri comunque furono solo verbali, ormai era chiaro che grazie alla sua iniziativa un assassino era stato consegnato alla giustizia e un importante traffico di droga era stato smascherato.

Nei pochi momenti in cui erano rimasti soli, in un cellulare della polizia, Jake aveva confidato ad Ashley: «Quello che mi spaventa, adesso, è tutta la parte burocratica».

Lei gli aveva posato una mano sul ginocchio. «Mi dispiace tanto.»

Jake era rimasto in silenzio, poi aveva scrollato le spalle. «Non avrei voluto ucciderlo. E non solo perché ancora non sappiamo chi fosse il suo complice, quello con i soldi, ma perché...» Tacque per qualche istante. «Ho sempre pensato che se mai avessi trovato l'assassino di Nancy lo avrei strangolato con le mie mani. Nancy però credeva nella legge. E questa notte ho scoperto di crederci anch'io. Non volevo ucciderlo. Volevo che subisse un regolare processo. Non riesco ancora a crederci. Ho lavorato con lui ogni giorno, fianco a fianco. Ci fidavamo tutti di lui. Ci sarà l'inchiesta, ne parleranno tutti i giornali e i poliziotti che hanno sempre svolto onestamente il loro lavoro verranno denigrati a causa di un'unica mela marcia.» La guardò negli occhi, turbato. «Non è il primo poliziotto corrotto e non sarà nemmeno l'ultimo. Ma non è la regola. Non sopporto che la gente si convinca del contrario. Se esiste qualcuno al mondo che avrebbe dovuto capire la vera natura di Marty, quello sono io.»

Ashley decise di tacere. Nessuna parola avrebbe potuto farlo sentire meglio. Posò una mano sopra la sua. «Mi hai salvato la vita. Sei arrivato proprio in tempo.»

Le strinse la mano. E un mezzo sorriso gli curvò le labbra. «Faccio fatica a riconoscerlo, ma te la stavi cavando niente male anche da sola.»

«Però non sarei mai riuscita a tenerlo a bada a lungo. Lui era armato, io no.»

«Forse dovresti finire l'accademia» osservò Jake, dopo una pausa di riflessione.

Ashley sorrise, ma non ebbe modo di rispondergli. Il capitano Blake aveva ancora bisogno di parlare con Jake.

Passò un'altra ora prima che riuscissero finalmente ad andarsene. Il corpo di Marty ormai era all'obitorio e i contrabbandieri erano stati portati in centrale, dove sarebbero stati interrogati per ore.

Ashley fu felice di vedere che, nonostante un pezzo del puzzle fosse ancora mancante, Jake era deciso a lasciare che se ne occupassero gli altri membri del dipartimento.

Tornarono con la macchina di Jake. Lui era al volante, Ashley al suo fianco e Nick sul sedile posteriore. Quando finalmente arrivarono a casa, Nick scese per primo.

Mentre anche Jake e Ashley uscivano dall'auto disse, a nessuno in particolare: «So che è una richiesta un po' strana». Guardò Jake. «Dormi a casa mia stanotte. Vi voglio sapere entrambi sotto il mio tetto.» Poi li precedette in casa.

Il vento freddo le scompigliava i capelli. Non mancava molto all'alba. Ashley avrebbe voluto non essere così stanca e resistere fino al sorgere del sole.

«Che ne dici. Ti va di dormire qui in casa?» chiese a Jake. «Non sono una fifona, ma un po' di compagnia di certo non mi dispiacerebbe.»

«Abbiamo tutti bisogno di compagnia» disse Jake con dolcezza. «E poi vedere la tua stanza è una tentazione irresistibile. Mi lasci fare la doccia per primo?»

«Non sono così buona» rispose. «Che ne dici di farla insieme?»

«Ci sto.»

Nella doccia, scoprirono che entrambi erano coperti di lividi e di tagli, e riuscirono a scherzarci sopra. Quando la doccia finì, cessarono anche le risate. Si guardarono a lungo negli occhi.

«Quello è il tuo letto?»

«Sì.»

La abbracciò, nascose il viso contro il collo di lei e la tenne stretta.

Ashley pensava di essere distrutta, ma scoprì di avere più energie di quante credesse.

Dopo, rimasero abbracciati, uno vicino all'altro, come una persona sola. Jake le accarezzò con dolcezza i capelli.

«Devo ammetterlo, sarò sempre un po' maschilista quando si tratta di te.»

«Mi sta bene. Tanto io continuerò a farti capire che sbagli.»

«Volevo solo che tu lo sapessi.»

Di colpo Ashley si alzò a sedere e guardò fuori dalla finestra.

«Il sole sta per sorgere.»

«Accade ogni mattina.»

«Questa mattina però mi piacerebbe vederlo.»

I vestiti di Jake erano infangati e fu costretto a indossare uno degli accappatoi di Ashley.

Si sedettero sul molo. Lei si appoggiò alla sua spalla. «È così bello. Non avevo mai visto colori simili, tra l'oro e il rosso.»

«Io sì.»

«Sì?»

«È il colore dei tuoi capelli.»

Lo guardò e gli sorrise.

«Ho una gran paura, ma...» iniziò Jake.

«Sputa il rospo, detective.»

«Mi sto innamorando di te, Ashley.»

Lei gli posò di nuovo la testa sulla spalla. «Avresti dovuto capirlo, detective. Io sono già innamorata di te. Dal primo momento, da quando ti ho versato addosso il caffè.»

«Rientriamo?»

Sorrise. «Sì. Mi piaci in giacca e cravatta, sei stupendo in calzoncini, ma in rosa...»

Jake scoppiò a ridere e la prese in braccio.

Il sole era già alto quando finalmente si addormentarono.

 

Dormirono per tutta la mattina, fino al pomeriggio. Quando Ashley aprì gli occhi, vide che Jake era sveglio e fissava il soffitto.

«Qualcosa non va?» sussurrò.

Lui intrecciò le dita dietro la nuca. «Continuo a pensare a chi potrebbe essere il complice di Marty. Uso il sistema di Sherlock Holmes. Sai, eliminare l'impossibile. Quello che resta, non importa se non è plausibile, dev'essere per forza la risposta che cerchi. Ma non riesco a eliminare nessuno.»

Ashley lo guardò.

«È stato sulla Gwendolyn. Ha soldi e potere, è dietro agli omicidi e alla droga.»

«Sharon si è comportata in modo molto strano» osservò pensierosa.

«Sharon?» chiese Jake scettico.

«Non credi che potrebbe essere lei? Soldi ne ha, non so quanti, ma probabilmente il suo guardaroba vale molto più dello stipendio di un anno di un poliziotto. Ha venduto lei quelle case ed è stata lei a riconoscere per prima Cassie Sewell dal mio disegno. La escludi solo perché è una donna?»

«No, ho visto azioni orribili e crudeli commesse da donne. Potresti anche avere ragione.» Si alzò di colpo e andò verso la doccia. Si voltò e la guardò. «Non osare seguirmi, abbiamo del lavoro da fare.»

«Cosa?»

«Eliminare l'impossibile.»

 

Al bar c'era Katie, per fortuna. Sharon e Nick li raggiunsero in soggiorno. Sharon si comportava in modo molto materno, continuava a chiederle se stava bene e a ripeterle che non era riuscita a prendere sonno dopo aver saputo ciò che era successo.

Ashley la ringraziò e andò diretta al punto. «Ma cosa ti succede?»

Sharon la fissò e arrossì, poi guardò Nick.

«Cosa ci facevi nella mia stanza?» chiese Ashley esasperata. «E poi, di cosa volevi parlarmi? Che appuntamento avevi ieri mattina?»

«Oh, Ashley, io... sono andata dal dottore, ieri mattina. All'inizio non riuscivo a crederci e avevo paura della reazione di Nick, e della tua. Aspetto un bambino.»

«Sei incinta?»

«Sì, io e Nick avremo un bambino.» Guardò Nick negli occhi e si sorrisero. «Lo so che non sarei mai dovuta entrare nella tua stanza, ma pensavo che conoscere un po' del tuo privato mi avrebbe aiutata a capirti meglio, a sentirti più vicina. Così forse non ti sarebbe dispiaciuto troppo.»

Ashley si rese conto di essere ancora molto stanca. E molto sollevata. Scoppiò a ridere. Rise così tanto e così forte che le si riempirono gli occhi di lacrime.

«Oh, no, Nick. È sconvolta. Ashley, lo so che Nick è sempre stato un padre per te, e che sei stata praticamente figlia unica...»

«Non sono sconvolta» riuscì a dire Ashley, dopo un po'. «Sono solle...»

Jake la fissò, con fare serio. Ashley riuscì a fermarsi appena in tempo. Non c'era alcun bisogno di far sapere a Sharon che avevano sospettato di lei, anche se solo per poco.

«Sono sovreccitata all'idea. Sono molto felice per voi due. Non vedo l'ora di avere un cuginetto.» Si alzò, corse da Sharon e la abbracciò. «Non potrei essere più felice.»

Nick, piuttosto a disagio, si alzò per ricevere il suo abbraccio.

«La cosa mi fa un po' paura» disse con voce roca. «Quando il bambino finirà il liceo, io sarò calvo e avrò l'artrite. Ma sono emozionato. E sono felice di vederti così felice.»

«Siamo tutti molto contenti» disse Jake. Si alzò. «Sharon, Nick, congratulazioni. Hai dello champagne decente in questo bar, Nick? Pago io.»

Sharon li pregò di non dire niente a nessuno. Era preoccupata di non riuscire a portare a termine la gravidanza e non voleva fare l'annuncio fino a quando non fossero passati i primi tre mesi. Comunque andasse, però, lei e Nick avevano deciso di sposarsi. Il matrimonio avrebbe avuto luogo tre settimane dopo, in forma molto privata, lì sul molo.

Jake e Ashley promisero di mantenere il segreto e di essere accanto a loro il giorno delle nozze.

«E adesso cosa facciamo?» bisbigliò Ashley a Jake.

«Andiamo a pescare.»

«Come Sherlock Holmes?»

«No, solo gettare l'amo con l'esca in acqua e cercare di prendere pesci.» Sorrise. «Ho bisogno di chiarirmi un po' le idee. Pescare aiuta a riflettere.»

Tornato alla barca con una buona provvista di pesce, Jake fece una doccia e telefonò a Franklin.

«Franklin, ho bisogno di te. Sei un mago con il computer. Ho bisogno che tu scopra tutto quello che puoi su un paio di persone.»

«Consideralo già fatto, Jake. Sono disposto a lavorare anche di notte e di domenica.»

«Grazie, Franklin.» Gli diede una lista di quattro nomi.

 

Lunedì, quando tornò al lavoro, Ashley fu sommersa da abbracci e congratulazioni. Erano tutti felici perché era ancora viva e per il ruolo che aveva avuto nella retata. Lei cercò di spiegare che non era del tutto vero, che non aveva risolto niente, che era solo stata drogata e rapita dall'ospedale insieme a Stuart Fresia. Poi arrivò il capitano Murray e urlò a tutti di tornare immediatamente al lavoro, erano un distretto di polizia e risolvere i casi era solo il loro mestiere. Ma quando gli altri si furono dileguati, le posò un braccio sulle spalle e le disse tre importantissime parole.

«Ottimo lavoro, Montague.»

Più tardi, nel pomeriggio, mentre era nella camera oscura, Ashley sentì bussare alla porta. Aprì. L'intero dipartimento della scientifica e quasi tutti i suoi compagni di corso erano lì. Le avevano portato una torta e un piccolo diploma fatto da Gwyn al computer, in cui veniva dichiarata membro onorario della classe che stava per diplomarsi.

La sera si ritrovarono tutti all'ospedale. Stuart si era ripreso e poteva camminare. Con Jake, Karen, Jan, Len e Mary - che si era vestita bene per l'occasione - andarono a trovare John. Ma solo per pochi minuti. Le infermiere erano molto severe.

«Mi tocca sopportarle, queste tiranne» si lamentò John. «Ma quando uscirò di qui, se non verrò arrestato, allora sarò libero. Davvero libero, come non sono stato per tanti anni.»

«Cosa farai?» chiese Jake.

«Scriverò un articolone» rispose.

Stuart si schiarì la gola.

«D'accordo, lo firmeremo insieme» disse John. Scoppiarono a ridere.

Lasciato l'ospedale, andarono a cena tutti insieme. Poi Ashley si godette il piacere di essere in coppia con Jake e di tornare alla Gwendolyn insieme a lui.

La notte successiva, mentre discutevano su come cucinare il pesce che avevano pescato, Jake di colpo smise di parlare.

Ashley si preoccupò.

«C'è qualcuno» sussurrò, muovendo solo le labbra.

Si avvicinò piano alla porta e la aprì di colpo.

Brian Lassiter era lì, con la mano alzata, sul punto di bussare.

«Hai percezioni extrasensoriali, Jake?»

«No, ti ho sentito arrivare.»

Si accorse della presenza di Ashley. Lei l'aveva già visto qualche volta da Nick e sapeva che era il marito di Nancy Lassiter. Ma non gli aveva mai parlato.

«Ciao, Brian. Sono Ashley, la nipote di Nick.»

«Mi sembrava di conoscerti. Come stai?» Si rivolse a Jake. «Posso entrare?»

Jake spalancò la porta.

«Vuoi una birra?» chiese Jake.

«No, meglio una bibita, devo guidare.»

Ashley andò a prendere una Coca e la passò a Brian. Lui la ringraziò con un sorriso e guardò Jake.

«Sono venuto a ringraziarti.»

«Non devi ringraziarmi, è il mio lavoro.»

«Invece sì» lo contraddisse Brian. «Io l'amavo. Sapere che chi l'ha uccisa non potrà più fare del male mi aiuta a soffrire meno. Ti devo delle scuse.» Si fermò, poi riprese risoluto. «So di non piacerti, ma sto smettendo di bere e ho deciso di sposarmi di nuovo. E voi siete invitati.»

«Congratulazioni, Brian» disse Jake.

«Anche da parte mia» mormorò Ashley. «Ceni con noi?»

Conversarono ancora per un po', ma Jake era stranamente silenzioso.

«Qualcosa non va?» chiese Ashley quando Brian se ne fu andato.

«È ricco» disse, senza giri di parole.

«È un avvocato.»

«Sì.»

«Ce l'hai ancora con lui per quanto ha fatto soffrire Nancy?»

«No. Le abbiamo tutti fatto del male.» Perso nei suoi pensieri, andò prima alla scrivania e poi in camera.

Ashley riordinò la piccola cucina. Poi entrò in punta di piedi nella cabina. La forza del suo abbraccio la stupì.

Durante la notte il cellulare suonò. Jake si alzò, andò a rispondere e parlò per diversi minuti. Tornò a letto e la prese fra le braccia.

«Era Franklin. Ha fatto delle ricerche per me. Sarai contenta di sapere che Lassiter è pulito. È un pescecane, sempre pronto a fare soldi, ma è un pescecane con i conti in regola.»

Ashley sorrise nel buio, sicura che la notìzia lo avesse reso felice, benché fosse ancora preoccupato. Gli interrogatori agli uomini arrestati finora non avevano dato molti risultati. Venivano tutti dal Sudamerica, come la droga del resto, e avevano negato di conoscere chi pagava per farli entrare negli Stati Uniti, o chi fosse il capo americano del traffico di droga.

Ancora non sapevano chi era il socio di Marty.

«La risposta è qui, davanti ai miei occhi. Perché mai non riesco a vederla?» disse Jake sottovoce.

«Smettila di pensarci o impazzirai.»

«Non ci riesco.»

Il mattino seguente Ashley si svegliò presto, baciò Jake e gli disse che tornava in camera per prepararsi e andare al lavoro. Prima di uscire, accese la caffettiera. Proprio in quel momento il telefonò squillò e Jake rispose. Si sarebbe fermata volentieri per sapere chi fosse, ma era in ritardo.

Si precipitò in camera, fece una doccia e si vestì.

Andò in cucina a prepararsi il caffè. Nick e Sharon non c'erano. Dovevano essere ancora a letto. Accese la caffettiera.

Era già chiaro. In un primo momento distinse solo una sagoma scura sulla porta. Ebbe paura. Assomigliava alla persona incappucciata di nero che aveva visto sulla scena dell'incidente. La figura si mosse e lei si riprese. Era solo Sandy. Indossava un paio di pantaloni, una polo e una giacca.

«Ciao Sandy» lo salutò. «Sono in ritardo. Nick e Sharon stanno ancora dormendo. Bevi pure il caffè e chiudi quando esci. Scusa, ma sono di corsa come al solito.»

«Ah, l'amore.»

Ashley scrollò le spalle. È così che vanno le cose quando si vive in un porticciolo. Tutti sanno tutto di tutti.

«A proposito, si sa qualcosa del rilievo delle impronte fatto sulla barca di Jake?» chiese Sandy.

«No, c'erano solo le impronte delle persone che avevano un motivo per essere state a bordo. Non ti sfugge niente di quello che capita qui, vero? Eri vicino alla barca quando è arrivato Skip? O Nick ti ha chiesto di aprirgli?»

«No. L'ho visto dalla mia. Mi spiace per Jake. Non deve essere piacevole sapere che gli manca solo l'ultimo pezzo del puzzle.»

Che gli manca solo l'ultimo pezzo del puzzle.

Non tutti ne erano al corrente. Certo le persone da quelle parti non facevano che parlare. A volte troppo.

«Sì. Ci vediamo, Sandy.» Si diresse verso la porta.

Quando guardò fuori, si rese conto che da dov'era poteva vedere bene la barca di Sandy. Quella di Jake invece era molto più in là, verso il lato della casa dove si trovava la sua stanza.

Sandy non poteva vedere la barca di Jake dal suo ormeggio.

Forse aveva visto Skip andarsene con la valigetta, o forse era sul pontile, a curiosare come al solito.

Di colpo le tornò in mente il dialogo con Sandy di poche mattine prima.

Io ascolto i poliziotti che vengono nel bar di Nick.

Li conosceva tutti. Jake Dilessio era arrivato da poco, ma Sandy sapeva già tutto di lui.

Le mancò il respiro. No, non era possibile, non Sandy. Sandy era un'istituzione. Sandy era vecchio.

Io ascolto i poliziotti che vengono nel bar di Nick.

Era vero. Parlava sempre con loro. Era sempre con qualcuno di loro. Nessuno ci avrebbe fatto caso se parlava con Marty Moore. E nessuno avrebbe mai immaginato che volesse tenersi al corrente su quanto succedeva al distretto di Miami-Dade.

Mentre questi pensieri le attraversavano la mente, si rese conto che le era alle spalle. Si irrigidì, fece per voltarsi e si trovò con una pistola puntata fra le costole.

«Non lo trovi buffo?» disse Sandy a bassa voce. «Dopo tutti questi anni, sono scivolato su un dettaglio ridicolo. Ma non importa. Non sono qui per il caffè. Sono venuto per te. Sei stata brava, Ashley, non ti sei tradita. Se non fossi venuto proprio per portarti a fare un giro, non avrei mai saputo se sospettavi di me. Sto per andarmene. Lontano, molto lontano. Devo farlo. Ho lavorato bene qui, e anche a lungo, ma adesso la situazione scotta. Ho guadagnato parecchi soldi, questo è certo. Tutto è cominciato quando quel tuo stupido amico non è morto sull'autostrada come avrebbe dovuto. E poi c'era Bordon. Avrei dovuto farlo uccidere anni fa. Mi sono fidato di Marty. È stato un ottimo compare. Si è fatto uccidere e non mi ha tradito. Ma qualcun altro presto comincerà a capire. Dilessio, per esempio. Troppo difficile, non sarei riuscito a ucciderlo. Questa mattina non andrai a lavorare, Ashley. Cerca di stare buona e di fare la brava, e forse ti lascerò in vita.»

«Se non mi vedono arrivare in ufficio mi cercheranno. E dato che la mia macchina è ancora qui...»

«Sbagliato. Andremo con la tua macchina. Partiamo, signorina Montague. Subito.»

Ashley non reagì. Aveva appena assistito alla trasformazione dell'uomo che credeva di conoscere così bene. Aveva una voce diversa, un diverso modo di parlare, era diverso anche il modo di muoversi. Come se fosse ringiovanito di colpo.

«Dove ti porto?»

«A un aeroporto privato.»

Si voltò appena per sbirciare la pistola.

«Glock» disse Sandy. «Piuttosto usata a Miami, ma non dalla Miami-Dade. Non ha la sicura, è molto potente e uccide in modo pulito.»

«Vuoi che avverta in ufficio che arriverò in ritardo?» chiese Ashley. Cercò di avere la meglio sulla paura. Aveva pensato che Marty fosse un uomo a sangue freddo, ma Sandy, il nuovo Sandy, era ancora più glaciale. Marty aveva ucciso. Peter Bordon gli aveva fornito la copertura. Ma era lui a capo di tutto. Era lui che dava gli ordini.

«Hai il cellulare. Chiamerai più tardi. Adesso dobbiamo andarcene di qui prima che Jake o tuo zio si sveglino. Ho bisogno di un ostaggio, due sono troppi. E non avrei certo scrupoli a ucciderli, lo sai.»

Se fosse andata con lui non aveva alcuna possibilità di sopravvivere, sapeva anche questo. Ma il pensiero che potesse sparare a sangue freddo a Jake, a Nick o a Sharon, la spaventava a morte.

«Ciao» disse una voce all'improvviso.

Jake, in calzoncini da bagno, era spuntato da dietro l'angolo del portico.

La pressione della pistola fra le costole aumentò.

«Hai solo due secondi per liberarti di lui» sussurrò Sandy. «Un grido e siete morti. Fidati, la Glock è un'arma di prim'ordine. Posso uccidervi in meno di due secondi.»

«Ciao, Sandy» disse Jake con un sorriso cordiale. «La caffettiera della Gwendolyn si è rotta. Ashley, cos'hai combinato?»

«Cos'ho combinato?» ripeté Ashley, senza capire.

«C'è del caffè pronto?» chiese Jake. «Ehi, Sandy, che eleganza. Sei qui anche tu per un caffè?»

«Il caffè è pronto» rispose in fretta Ashley.

«Ottimo. Vado a berne una tazza. Buon lavoro.»

Sandy l'aveva spostata appena fuori dalla soglia, nascondeva l'arma con il corpo. Jake li oltrepassò, sempre sorridendo.

«Sandy, perché non entri a bere un caffè con me?» chiese.

«Non posso, ho fretta.»

Jake lo guardò con espressione interrogativa.

«Ho chiesto ad Ashley di darmi un passaggio fino alla banca.»

«Capisco.» Jake entrò nel ristorante.

Ashley sentì la pressione della canna della pistola in un altro punto della schiena. Sandy si era spostato per nasconderla.

Jake si fermò. Ashley strinse i denti per cercare di restare impassibile.

«Ashley» disse all'improvviso, guardandola negli occhi. «Devo chiederti una cosa. John Mast mi ha parlato di un'altra tua abilità. A essere sincero me ne avevi parlato anche tu, avevi detto che eri pronta a darmene una dimostrazione.»

All'inizio non capì, poi rutto le fu chiaro.

Sorrise. «L'ho fatto vedere a John.»

«Mostralo anche a Sandy.»

«Ho fretta» disse Sandy impaziente.

«Adesso!» esclamò Jake.

Ashley fece scattare con forza la gamba all'indietro e centrò Sandy in mezzo alle gambe. Mentre lui rantolava, Jake si mosse. Veloce. Così veloce che lei urlò, non per avvertirlo, ma per la sorpresa. Un attimo prima Sandy era di fianco a lei e Jake le era di fronte. Un attimo dopo Jake si era lanciato con tutto il suo peso addosso a Sandy. Adesso erano entrambi a terra.

Sandy cercò di prendere la mira. Partì un colpo, che finì chissà dove. Jake schiacciò il polso di Sandy contro il terreno. Partì un altro colpo.

«Molla la pistola» urlò Jake.

«Fottiti» rispose Sandy, deciso a sparare tutti i colpi che aveva.

«Lascia la pistola» ripeté Jake.

Con un colpo deciso, bloccò a terra il polso di Sandy. La pistola gli scappò di mano e scivolò lontano da lui.

«Alzati» ordinò Jake.

Si alzò a sua volta, tenendo Sandy per il bavero della giacca.

Sandy era paonazzo. Sollevò una mano e iniziò a tossire. Respirava e tossiva. Era scosso dai tremiti.

«Merda» imprecò Jake. «Ashley, chiama il pronto intervento. Non deve morire adesso.»

Ashley cercò il cellulare nella borsa.

L'aveva appena trovato, quando Sandy smise di colpo di tossire. Con un balzo si liberò della presa di Jake e si gettò a terra verso la Glock.

Jake bestemmiò. Sandy raggiunse la pistola e la impugnò. Si voltò. Jake aveva già estratto la piccola rivoltella che teneva nascosta dietro la schiena, nella cintura.

«Sandy, non farlo...» disse Jake con il dito sul grilletto.

Uno sparo.

Sandy cadde all'indietro.

Non era stato Jake a sparare.

Ashley e Jake si voltarono verso la porta.

C'era Nick, aveva in mano la pistola ancora fumante.

«Mi dispiace, Jake. Dovevo farlo. Avrebbe sparato per primo. Io non sono un poliziotto. Quel bastardo voleva uccidere mia nipote. Ha usato me e il mio bar per anni. Comunque, credo che sia ancora vivo. Sharon ha già chiamato il pronto intervento» annunciò. «Il caffè è pronto.»

Nick prese la pistola dalle mani di Sandy ed entrò in casa. Ashley guardava Jake incredula.

«Come hai fatto a capirlo? Come hai fatto ad arrivare al momento giusto?»

«Era Franklin al telefono. Aveva fatto dei controlli su Sandy e aveva trovato la prova che cercavo. Ricordami di mandargli una bottiglia del miglior whisky doppio malto, ho scoperto che gli piace.»

Si chinò a sentire il battito sul collo di Sandy.

«Nick ha ragione, respira ancora.»

Sentirono le sirene dell'ambulanza.

«Entra a bere una tazza di caffè con Nick. Fra poco ricominceremo con gli interrogatori, ne avremo per qualche ora. Per non parlare dei moduli da riempire» borbottò Jake.

Ashley scosse la testa e gli sorrise. «Ti aspetterò, Jake. Sai cosa vuol dire tutto questo? È l'ultimo pezzo del puzzle. È finita. È davvero finita.»

 

Epilogo

 

La cerimonia fu magnifica, proprio come Ashley l'aveva sempre sognata.

Anche il suono del suo nome non le era mai sembrato così bello.

Mentre camminava fra due ali di persone, pensò che non era mai stata tanto felice come in quel momento.

Tutte le persone importanti per lei erano lì a condividere la sua gioia. Nick e Sharon con il cuginetto Justin Montague. Karen con Len. Jan con John Mast. I due si erano incontrati e si erano piaciuti così poco che si erano rivisti per finire di litigare, e da allora non si erano più separati. C'era Stuart con i genitori. Il padre di Jake, al quale Ashley si era subito affezionata tantissimo. Numerosi poliziotti, Gwyn, Arne e il resto della classe.

E naturalmente c'era Jake.

Era stato il primo a congratularsi con lei per essere riuscita a terminare l'accademia, dopo un anno alla scientifica. Non avrebbe cambiato lavoro. Avrebbe continuato a disegnare identikit.

Poi vi fu il momento delle fotografie. Foto con gli amici, con la famiglia e con Jake. E una di lei da sola. Era la foto per Nick. L'avrebbe appesa accanto a quella del padre di Ashley.

Seguì un grande rinfresco da Nick. Per tutti i ventotto nuovi ufficiali e le loro famiglie.

Poi Ashley tornò con Jake alla loro barca tanto amata.

Quando entrarono, vide che c'era una bottiglia di champagne nel cestello.

E accanto una piccola scatola di velluto blu.

Ashley guardò Jake.

«È quello che penso?»

«Sei un poliziotto adesso, scoprilo da sola.»

«Non mi dai neanche un indizio?»

«L'avremo addosso entrambi per tutta la vita. E non è caffè bollente.»

 

FINE